2 ottobre -
Gentile Direttore,
una persona di recente mi ha detto: “E’ da bambina che so di dover morire. La morte è sempre stata la mia prima certezza. Su questa ho costruito la mia vita”. Non tutti posseggono tanta saggezza ma l’espulsione del tema della morte nella nostra società è un dato di fatto. Le cause sono complesse, con origine religiose, filosofiche, economiche, sociali. Eppure il tema, ovvero riconoscere la morte come tappa naturale della vita, ha una rilevanza assoluta, con conseguenze in tante aree.
Una di esse è l’impreparazione dei servizi sanitari. Un esempio: ad una psicologa, attiva in un Servizio di A.D.I., più volte, dopo la morte dei pazienti, i familiari hanno chiesto il prosieguo dei colloqui nelle fasi del lutto. Ebbene, la risposta burocratica è stata che non essendovi un “paziente”, l’intervento psicologico non poteva più essere fornito.
Nella mia regione solo poche realtà danno una risposta concreta a tali bisogni: tra essi spicca “Compagni di Viaggio” che realizza da anni con fondi valdesi un servizio di assistenza psicologica domiciliare per pazienti oncologici.
E’ un lavoro complesso richiedente solida preparazione e un impegno emotivo non da poco, da riconoscere e valorizzare, perché svolge una funzione estremamente importante.
La conferma indiretta di quanto tale lavoro sia difficile e parzialmente negato è suggerita da una riflessione. In ambito oncologico si promuovono valide iniziative che offrono corsi di trucco, visagista, di danza e ballo. Sono proposte utili per migliorare la qualità della vita dei pazienti, ma credo che siano anche inconsapevolmente guidate dal tentativo di esorcizzare la morte, opponendogli la vitalità in tutte le sue forme. Spesso, però, molte persone hanno soprattutto bisogno di raccoglimento, di vicinanza silenziosa, di ascolto rispettoso.
Ma vengo all’attualità.
In Campania sono morte circa 450 persone per/con covid, in Italia oltre 35.000. Certo ci sono patologie che provocano più vittime. Il dolore non è certamente diverso e tralascio la dimensione epidemiologica. E’ vero però che il Covid ha una sua drammatica specificità: spesso si ammalano più persone della stessa famiglia; inoltre, è di necessità imposto l’isolamento, proprio quando è più importante essere vicini e perfino il rito del funerale spesso è stato vietato.
Ciò significa che nella regione vi sono 450 mogli/mariti in lutto, molti più di 450 figli, genitori, fratelli in lutto. Chi si occupa di queste persone? Quali servizi vengono offerti? Come potranno elaborare il loro dolore?
L’U.O.S.D. di Psicologia Clinica dell’A.O. dei Colli, con la collaborazione di infettivologi e pneumologi, intercetta e prende in carico alcune richieste di aiuto di chi ha perso un congiunto. Si tratta di storie molto intense, piene di dolore e di rabbia.
Possiamo fare di più, così come è evidente che non tutti richiedono assistenza psicologica.
Ma il tema è più vasto e non riguarda la sola psicologia, né si risolve con la domanda di più posti di lavoro per qualche categoria.
La questione è innanzitutto etica e culturale. Etica perché è un dovere della collettività essere vicino a costoro. Se nemmeno le tragedie sociali sono capaci di risvegliarci, se prevalgono soltanto gli egoismi e il bisogno di accaparramento, ci attenderanno tempi tristi. Ci sarà progresso collettivo solo se i tanti dolori personali ci aiuteranno a sviluppare solidarietà e rispetto. L’altro aspetto è culturale: smettere di eliminare finanche il pensiero della morte dalla nostra società. Ciò per sviluppare una consapevolezza collettiva, oltre che formare operatori competenti. La morte non si sconfigge ignorandone l’esistenza.
Non è raro, da psicoterapeuta, ascoltare pazienti che fanno risalire le proprie difficoltà alla morte di un familiare importante. A distanza di anni, provano a trovare un senso a ciò che è accaduto.
Gli operatori sanno come le reazioni individuali alla malattia siano profondamente diverse. Le più frequenti sono tristezza, depressione, ansia, ma è innegabile che alcuni, costituenti una minoranza ma non tanto rara, riescono, dopo la fase di accettazione, ad “utilizzare” l’esperienza della malattia per una positiva ricollocazione delle loro priorità esistenziali. Ciò dipende innanzitutto dalle loro risorse personale e familiari. Da tempo, mi occupo di come gli operatori sanitari, possano sviluppare competenze per aiutare i pazienti e i loro familiari a convivere al meglio possibile, per quelle che sono le loro esigenze, con la malattia.
L’accompagnamento nell’ultima fase della vita e l’assistenza dopo il lutto sono connessi a tale modo di intendere l’assistenza psicologica e sanitaria.
La morte può aiutarci a ricordare che la vita non è solo evitare la sofferenza, non è neanche la ricerca della felicità, ma è innanzitutto ricerca di senso e consapevolezza.
Dott. Alberto Vito
Responsabile UOSD Psicologia Clinica A.O. dei Colli, Napoli
Didatta Scuola Romana di Psicoterapia Familiare