22 settembre -
Gentile Direttore,
vi è l’unanime convinzione che l’epidemia di Covid mettendo a nudo le “falle” del nostro sistema sanitario (che pur si è dimostrato capace di reggere a uno tsunami mai visto nella storia recente) ci dia l’opportunità e la possibilità (visto anche i finanziamenti previsti e attesi) di ripensare all’organizzazione della sanità oaddirittura ad una sua “quarta riforma”.
Su questo giornale se ne discute molto con interventi autorevoli e con occhio attento alle mosse del governo a cui da più parti si cerca di far giungere idee e suggerimenti. Fra tutti spiccano quelli molto lucidi del prof. Cavicchi ormai da molti considerato il “riformatore”.
Nei suoi ultimi articoli il prof. Cavicchi fa emergere il timore di una politica del governo fatta solo di spesa, che vada verso un potenziamento del sistema attraverso un finanziamento straordinario ma a criticità del sistema invarianti, cioè un potenziamento senza riforma.
Questo porterebbe nel tempo a raddoppiare l’incidenza della spesa sanitaria sul pil a criticità sanitarie invarianti e con una economia in difficoltà, con il rischio che si crei un corto circuito tra una società che resta profondamente insoddisfatta della sanità pubblica (e che già ora spende circa 40mld di spesa privata) e una economia che non può permettersi una sanità tanto dispendiosa senza significative contropartite.
Per evitare il corto circuito “potenziamento e riforma” devono quindi andare avanti insieme.
E’ di questi giorni l’allarme dell’istituto superiore di Sanità (
QS, 18 settembre) sulla tenuta dei servizi territorialiper l’eccessivo “carico di lavoro” a cui sono sottoposti.
Da medico del territorio mi chiedo: è solo un problema di tenuta o è anche un problema di inadeguatezza? Basta potenziare il territorio o il territorio alla luce delle esperienze fatte compresa la pandemia va radicalmente ripensato? Ed esiste una nuova idea di territorio?
Il “carico di lavoro eccezionale” non è però prerogativa del territorio ma è una costante presente un po' in tutti i servizi del SSN (ospedale compreso) , ed era evidente già prima del Covid e pare invariabilmente destinata ad aumentare con il rischio di implosione del sistema.
E’ evidente che servono cambiamenti di rotta rapidi e di largo respiro, capaci di dare risposte strutturali. Serve la capacità di ripensare al nostro SSN e il coraggio di riformare e questo non può avvenire senza passare in generale per un ripensamento del lavoro e in particolare senza recuperare il valore intellettuale della professione medica quindi senza risolvere la questione medica.
Oggi per tante ragioni non si parla più di “questione medica” ma da medico del territorio quale sono, posso testimoniare che essa non è diminuita, non si è attenuata, non è uscita di scena, ma al contrario è diventata più che mai impellente, più che mai onerosa, più che mai alienante e non credo che basti il potenziamento dei servizi a risolverla.
Il disagio della professione medica, la medicina amministrata, il mancato rispetto della libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità del medico nell’esercizio della sua professione non possono essere considerate altro rispetto a una possibile riforma del sistema: non si può pensare di cambiare l’organizzazione sanitaria a prescindere da questo.
La crisi della professione alla quale vorrei ricordare si associa una sempre più crescente e nociva conflittualità tra professioni, non si può risolvere proponendo soluzioni posticce ogni volta che si pone un problema: assumiamo qualche medico qua, destiniamo qualche risorsa là, diamo un po' di microtecnologie nel territorio, eliminiamo i distretti, istituiamo i micro-team.
Serve una progetto organico, una visione lungimirante che vada al cuore del problema. Per questo ho molto apprezzato l’ultimo intervento del prof. Cavicchi (
QS, 17 settembre) che da vero riformatore, pone delle questioni cruciali ed essenziali.
Due in particolare mi sembrano particolarmente importanti per i medici:
- Riformare il concetto di tutela della salute,
- Cambiare il modello di governo della sanità.
Riformare il concetto di tutela della salute è oggigiorno indispensabile per responsabilizzare il cittadino. Che l’idea di tutela sia un concetto anacronistico si è visto in tutta la sua drammaticità nel corso di questa pandemia. Oggi come dice il prof. Cavicchi ripensare l’idea di tutela significa porre le basi per un nuovo patto medico/cittadino che fornisca chiarezza sui diritti e sui doveri di ciascuno.
Per quanto riguarda il modello di governo della sanità è abbastanza evidente che la formula “azienda” se ha prodotto ottimi risultati economici in termini di risparmio e forse di risanamento, ha ridotto i medici a degli impiegati (togliendo ogni velleità alla medicina come professione intellettuale) e i pazienti in utenti con tutti diritti e nessun dovere.
Tiziana Frittelli (
QS, 21 settembre) nel suo intervento ha parlato dei risultati straordinari ottenuti dall’aziendalizzazione delle Asl in termini di “di efficientamento” e di formazione di “quadri intermedi” capaci di governare “processi” e di “ lavorare in team” , maturando “una capacità manageriale, una sensibilizzazione alla sostenibilità del sistema, una attenzione alla necessità del dover rendere conto che hanno consentito di far fronte ad una situazione difficile da gestire in tutto il mondo”.
Nulla da dire sull’efficienza e la capacità manageriale dei nostri direttori, ma siamo davvero sicuri che la sanità si governa come una azienda in cui il profitto o almeno il risparmio sono il baluardo principale? Come ha ridotto la professione medica questa concezione della sanità?
Ottima quindi l’idea del professor Cavicchi di pensare al sistema organizzato per comunità, intesa come un sistema il più vicino, il più prossimo al territorio e ai suoi bisogni di salute. In questo modo sarebbe possibile anche recuperare quella integrazione socio -assistenziale che molte difficoltà ha incontrato negli ultimi tempi.
Il sistema sanità è a un punto di non ritorno: o si fanno delle riforme vere o salta il banco.
Ornella Mancin
Medico di famiglia