6 maggio -
Gentile Direttore,
la notizia pubblicata su Quotidiano Sanità del 25 aprile scorso di
un accordo stipulato tra la Sanofi e la FIMMG ha sollevato non poche perplessità e merita qualche riflessione. Non è neppure il caso di dire che le riserve e le critiche non sono un processo alle intenzioni. (Qualcuno potrebbe maliziosamente insinuare (excusatio non petita….). Ma non è così. Io non metto in discussione la bontà delle intenzioni, però!
Se cambia la società, e questo è fuor di dubbio, non può non cambiare anche il medico, fatti salvi ovviamente, i principi ippocratici che sono perenni.
Il problema della formazione riguarda ovviamente tutte le professioni, ma nessuno vorrà negare che per la medicina è una esigenza particolare, dato l’incessante prodigioso progresso.
Il Prof. Gaetano Salvatore, non dimenticato Preside della Facoltà di Medicina della Federico II di Napoli, soleva dire “il medico è un professionista condannato a studiare a vita”. E quindi l’iter formativo è un processo che ha nella continuità l’aspetto più significativo e che non è solo l’indispensabile aggiornamento. Ma questa è la premessa. Il problema fondamentale è un altro. L’Italia è uno dei pochi paesi europei che non ha la specializzazione in medicina generale.
Alcuni anni fa vi fu un’aspra polemica tra il Prof. Eugenio Gaudio (medico) Rettore del Policlinico Umberto I di Roma e la sezione romana della FIMMG. Il Prof. Gaudio aveva espresso alcune forti e piuttosto ingenerose critiche a quella che aveva definito come una “involuzione della figura del medico di medicina generale da alcuni decenni e ne auspicava una profonda ridefinizione, riportando il valore accademico riconosciuto”. “Non sono problematiche difficili da risolvere. Se si trovasse il modo di togliere tutti quegli aspetti di potere, di corporativismi che esistono fra ministero, università, Crui e Regioni, con un investimento di qualche decina di milioni di euro, che è già basso di per sé, ma che non è nemmeno un costo, basterebbe. “Chi resta fuori dalla specializzazione cosa fa? Fa il corso di medicina generale e pure lì ci sono diversi problemi. Oggi è un corso regionale, non è un titolo accademico”.
Ma qualcuno potrebbe chiedere, che c’entra tutto questo con la Convenzione Sanofi-FIMMG? Credo che c’entri e molto.
Anche dando per acquisito tutto questo, si pone comunque il problema di una formazione continua, che implica anche con costante aggiornamento.
Non vi è alcun dubbio che la formazione costi e che oggi gravi in gran parte sulle spalle del singolo medico. Encomiabile quindi lo sforzo del sindacato di coinvolgere l’industria.
E qui nasce un problema che richiede la massima chiarezza. Affidare questo difficile e importante compito ad una singola azienda mi sembra francamente discutibile. Io non nascondo la mia contrarietà, rafforzata dalle dichiarazioni riportate da Quotidiano Sanità.
Dr. Claudio Cricelli, Presidente SIMG: “Attraverso la sottoscrizione di questo accordo, stiamo contribuendo a costruire le basi per una revisione sostanziale del Sistema Sanitario. La professione del medico di medicina generale ha e avrà sempre più bisogno di strumenti moderni di formazione e di verifica delle conoscenze scientifiche: in questo l’unione delle forze, in maniera coordinata, con il mondo dell’industria (n.p. BENE) rappresenta un elemento fortemente strategico”.
Dr. Silvestro Scotti, Segretario Nazionale FIMMG: “Si tratta di un cambiamento generazionale della professione e un innovativo programma di formazione per i medici che aiuterà a considerare anche la variazione dei modelli di offerta di salute e di evoluzione dello stesso rapporto medico paziente nella medicina generale”.
Vasto programma, avrebbe detto De Gaulle, forse troppo vasto.
Non si tratta di un consunto moralismo come si sarebbe detto una volta, ma di una grossa questione di principio.
Altra cosa sarebbe se si facesse un piano organico coinvolgendo l’industria farmaceutica nel suo complesso e le società scientifiche. Ho conosciuto all’Università di Salerno il Presidente Scaccabarozzi, persona di assoluta qualità, che sono convinto recepirebbe il problema.
Dovrebbero essere interessati anche gli ospedalieri, perché una vera formazione non potrebbe prescindere da una periodica frequenza in ospedale.
E la Fnomceo non ha niente da dire?
Qui non c’è nessun attacco all’autonomia del Sindacato (vi dovrebbe essere ovviamente anche una autonomia della Fnomceo), senza furbizia da una parte e dall’altra.
Ricordo che la formazione è tra i compiti imprescindibili dell’Ordine professionale. Potrebbero essere riesumate le famose “convergenze parallele” che gli attuali dirigenti non conoscono, non per colpa loro ma per invidiabile privilegio di età (forse non erano ancora nati).
Credo che un problema di questa importanza debba essere trattato con pacatezza e responsabilità, senza che nessuno faccia il processo alle intenzioni.
La strada per realizzare il programma non è questa. Le scorciatoie non servono, occorre mirare in alto. Vi ricordate Marcuse, riadattandolo.
Siate realisti, chiedete l’impossibile (e non è il caso nostro).
Bruno Ravera
Primario emerito di Cardiologia e già Presidente Omceo Salerno