29 aprile -
Gentile Direttore,
in questi giorni non si fa che parlare di fase 2, che è la inevitabile ed automatica evoluzione della prima, ma scandita da numeri in decrescendo di contagi, dimessi, posti resi liberi nelle terapie intensive, nuovi casi e purtroppo da nuovi decessi. Tutti aspettano con ansia la fine del percorso doloroso e angosciante di questa pandemia; purtroppo il 25 Aprile è passato in compagnia di questo inatteso nemico, che “infiniti lutti addusse agli Achei”.
Non illudiamoci che si possa, seppur con lentezza, riprendere un modus vivendi simile al periodo pre-pandemia. Molte cose sono cambiate, molte abitudini dovranno essere rimosse. La memoria di ciò che è stato non sarà fonte di tristezza se sapremo cogliere e apprezzare alcuni aspetti paradossalmente migliorativi indotti da questa ecclissi della realtà fin qui costruita, che stava per ingabbiare l’uomo, come in una foresta, nella quale si muoveva con sempre maggiore difficoltà, nel silenzio e sempre più solo.
L’uomo va ricollocato al centro del sistema perché costituisce principio e fine dello stesso. Di qui la logica conseguenza per la quale l’economia sia strumento dell’uomo e non il contrario. Questo principio peraltro oggi è più che mai indispensabile per salvare i sistemi democratici e gli equilibri dell’Europa e del Mondo intero; in assenza di una visione solidaristica e centrata sull’uomo, potremmo andare incontro al caos o a qualcosa di peggio, rispetto alla quale il coronavirus diventerebbe a quel punto secondario.
“Il salvamento viene dal buon coraggio “ e quindi dal cor-cordis, che è animo ma anche intelligenza.
Dunque massima razionalità e coesione, elementi vincenti sia per sconfiggere la malattia sia per riportare in equilibrio la democrazia e con essa la condizione essenziale per un corretto rapporto tra i popoli e tra la gente di una nazione. Illusione o necessità? Personalmente penso che si tratti di un atto di grande civiltà perché ignorare questo avvertimento può mettere a repentaglio la vita degli altri e se vogliamo onorare e rispettare chi è morto in questa guerra, il modo migliore è evitare che possa ripetersi.
I prossimi mesi saranno, speriamo, segnati da uno zero epidemiologico ingannevole, se è vero, come tanti studi dimostrano, che il malato asintomatico potrebbe continuare a circolare; questo fin quando non sarà pronto il vaccino, obiettivo non facile da realizzarsi (ricordiamoci la storia della SARS).
Ma questa vicenda ha determinato un ulteriore problema, sempre più emergente: il carico di patologie apparentemente sopite durante il periodo della pandemia e al quale non si è dato una risposta adeguata.
Tanti i pazienti, che hanno avuto infarto miocardico non trattato o curato con notevole ritardo, di cui molti deceduti a domicilio; lo stesso dicasi per malati con scompenso cardiaco non più controllato o per quelli portatori di aritmie cardiache non diagnosticate; e i pazienti con ictus cerebrali morti nel silenzio o ricoverati con tempi di attesa tali da non poter essere trattati?
D’altra parte non era pensabile che le altre patologie fossero state silenziate e fermate dal virus, al quale avremmo così potuto assegnare anche una funzione terapeutica.
Per amor di verità questa condizione ai limiti della rinunzia o negazione di assistenza ha attraversato, seppure con modalità e intensità diversa, tutti i paesi con segnalazioni puntuali in lavori scientifici pubblicati in America, in Europa, in Oriente e nel mondo intero.
Troppe le immagini e i proclami di evitare il ricorso agli ospedali, “se non strettamente necessario”, messaggio tradotto da chi aveva paura del contagio intraospedaliero con il virus, e sono tanti, nella rinunzia aprioristica alla prestazione anche d’urgenza.
E così la paura ha superato il bisogno di curarsi ed ora avremo un incremento della popolazione malata con una prognosi peggiorativa, gravata dai ritardi di intervento o di cura, con una spesa sanitaria attuale e futura verosimilmente incrementata.
E lo stesso esito potrà determinarsi stante il perdurante diniego di controlli ambulatoriali nei reparti ospedalieri relativamente a pazienti portatori di device (ad esempio PM, Defibrillatori ecc.) o a pazienti che necessitavano di accertamenti di II livello cardiologico quali coronarografie, perché sofferenti di manifestazioni cliniche anginose ripetitive o per sforzi di minima entità oppure per forme tumorali sospette diagnosticabili mediante procedure strumentali.
Peraltro questi accertamenti sono quasi mai praticabili sul territorio e il rinvio non sempre assicura al paziente una buona prognosi.
Queste osservazioni di carattere squisitamente sanitario non vogliono negare la necessità nella fase “calda” della pandemia di dover ridurre al minimo possibile i contatti tra operatori sanitari e pazienti, entrambi sospetti; percorsi protetti preceduti da diagnostica con tampone o da esame sierologico avrebbero potuto, in pazienti senza urgenza inderogabile ma con necessità di intervento a breve, permettere un risultato assistenziale globale per la popolazione migliore e un minor numero di decessi.
Vero è che questo virus, con la sua contagiosità e la sua letalità, ha indotto a prendere misure di protezione che si sperava potessero dividere i malati in contagiati e non, ma l’exitus non ha tenuto conto di questa separazione; ed ora bisogna velocemente recuperare il controllo della salute con una strategia diversa, pensiero peraltro condiviso da tutti i professionisti sanitari.
Ritornando alla fase 2, ufficialmente in essere con il 4 Maggio prossimo, nuova data da memorizzare nella riconquista parziale di libertà della nostra gente; sì perché trattasi di un atteso ma pericoloso momento, determinante nel percorso faticoso e responsabile verso una nuova rappresentazione del vivere sociale.
E tutto o quasi dipenderà da noi: una prova importante di maturità civica e di altruismo, dalla quale dipenderà la salute fisica ed economica della nostra popolazione. Distanti ma vicini procederemo in una ristrutturazione delle modalità comportamentali sotto lo sguardo attento dei dati di monitoraggio sanitario sul valore dell’indice di contagiosità del virus (R con zero), parametro che, secondo gli esperti, costituirà l’indicatore di colore verde o rosso nella prosecuzione del processo liberatorio.
E, sostenuti dalla volontà del popolo latino, proveremo a riemergere economicamente attraverso una solida e convinta ripresa dell’apparato produttivo, elemento di tranquillità anche psico-fisica messa a dura prova.
Il sistema sanitario dovrà essere ristrutturato con nuovi mezzi e professionisti in numero congruo e con competenze avanzate soprattutto in pratiche informatiche e in modelli assistenziali basati sull’impiego dell’intelligenza artificiale e quindi dei Big Data.
Importanti e razionali investimenti andranno fatti nella organizzazione di una medicina territoriale in linea con le attuali esigenze di efficace filtro diagnostico e terapeutico. Ancor più importante deve essere l’azione nella riorganizzazione attualizzata della rete ospedaliera, progettazione da circa 40 anni latente nelle regioni del SUD, anche per un finanziamento cronicamente ridotto rispetto alle regioni del Nord e per troppo tempo sottoposte a manovra di rientro.
Ovviamente la riorganizzazione di una rete ospedaliera provinciale dovrà prevedere strutture nuove, moderne, funzionali, sufficienti a dare risposta adeguata ad una domanda di ricoveri appropriati. E ciò sarà tanto più fattibile quanto più efficiente ed efficace sarà l’assistenza territoriale chiamata a qualificare, attraverso una reale funzione filtro, la domanda di posti letto.
Questo in tandem con le Usca, concepite come vere e proprie micro-equipe territoriali medico-infermieristiche capaci di generare una offerta assistenziale con una dimensione anche sociale, riconsegnando gli ospedali alla funzione primaria di emergenza e di prestazioni di livello avanzato.
Dr. Giovanni D’Angelo
Presidente OMCEO - Salerno