17 aprile -
Gentile Direttore,
potrebbe sembrare strana questa sorta di calma piatta che, dopo gli iniziali tumulti, carcerari in specie, attraversa il Paese. E’ la quiete che segue la tempesta, la quiete di chi scruta l’orizzonte temendo l’accendersi di sinistri turbini, di chi cerca un assestamento dopo l’intensa scossa tellurica che ha messo a soqquadro il network relazionale, la routine in cui si era immersi più o meno consapevolmente, con maggiore o minore soddisfazione, attivamente o passivamente.
La frattura è scomposta o ingranata, per niente allineata e richiede quindi attenzione e cure, le stesse che abbiamo sottratto al talora spossante e frenetico rotolare di cosa in cosa. Lo spostamento energetico è sempre fertile, sempre, benché o forse perché doloroso. Sentiamo levarsi voci di grandi o meno grandi vecchi che reputano moralistico presumere che un simile sconquasso fertilizzi il campo sociale e personale. Costoro sono i primi tra i moralisti, sono i bene integrati in un sistema che li ha colmati di privilegi. Meglio lasciare tali moralisti proiettivi alla loro stantia deriva e privilegiare idee che non si fermino a pregiudizi di maniera, positivi o negativi che siano.
Ebbene, l’apnea sociale del periodo dimostra una cosa: che gli italiani riflettono, magari senza saperlo. Da tempo hanno ridotto la loro partecipazione alla crescita demografica della umanità, passo indietro visto da troppi come colpa ovvero aspirazione frustrata, e invece sintomo di una inconscia consapevolezza dei limiti del Pianeta. E ora affrontano l’isolamento arrangiandosi alla loro maniera antica, benedetti da una primavera perfetta e prolungata dei cui colori tersi, della cui atmosfera frizzante tutti possono godere anche solo affacciandosi alla finestra di una qualsiasi abitazione, per piccola, modesta, sovraffollata che sia: una geografia e una meteorologia straordinarie sono tra i doni che gli abitanti del Belpaese hanno in dote.
E inoltre, affrontano l’esperienza mettendo a frutto i diffusi strumenti di comunicazione virtuale, adattandoli alla necessità del momento, inventandosi soluzioni mai esperite. Che gli psicoterapeuti potessero convertire le sedute nel proprio studio in incontri in rete sarebbe parso blasfemo ai più; oggi al contrario risulta un percorso praticabile ed efficace, paradossalmente più efficace a volte, un metodo che permetterà a qualcuno, in futuro, di scegliere una figura di riferimento non necessariamente sotto casa e di farlo anche se impossibilitato a muoversi dal proprio domicilio per altre ragioni. Accade persino, udite udite, che gli italiani sognino più di prima. Se per il Libro dei libri l’uomo che non sogna per una settimana è cattivo, forse stiamo diventando più buoni.
Espressività ritrovate e scoperte innovative non devono oscurare un’area cui occorre dedicare risorse e pensiero fin da subito: l’ampio spettro delle fragilità che non possono, per ragioni svariate, subire un protratto confino in spazi angusti senza i sostegni necessari, senza gli inevitabili distanziamenti intrafamiliari, senza un idoneo monitoraggio. Non si è nella condizione di promettere tutto a tutti e mai come in questo momento è necessario creare tabelle di priorità da rispettare, guidati dalla stella polare della “necessità”.
Chiunque avverta, ad esempio, un bisogno di rassicurazione e di restauro del proprio percorso esistenziale, sarà nella condizione di decidere autonomamente di rivolgersi ai professionisti che non mancano nel settore. Potrebbe essere l’incipit di un approfondimento utile alla vita anche al di là di questa congiuntura sfavorevole in sé. Sono coloro che non hanno una tale consapevolezza e la sufficiente autonomia per operare delle scelte che vanno sorretti, stanati all’occorrenza, immessi in un tessuto comunicativo indispensabile alla loro sopravvivenza e gravido di conseguenze vantaggiose poi, perché nessuna relazione conta davvero come quella che si stabilisce in uno stato di precarietà estrema.
Si tratta di occasioni nutrienti e affidabili per sempre, che mai si sarebbero date nel tran tran, anche duro, di esistenze difficili e che l’urgenza fa germogliare. I rapporti terapeutici che in carcere ho stabilito con persone che non si sarebbero fatte raggiungere all’esterno e che si sono affidate anche poi, ne sono la testimonianza viva.
Ecco le ragioni per cui essere proattivi nei confronti dei più fragili, disponibili nei confronti di tutti, generosi in pensieri, parole ed opere e pertanto lucidamente speranzosi, altro che moralisti e induttori di sensi di colpa, come qualcuno filosofeggiando pretende di far credere, mentre non alza un dito, non suggerisce una ipotesi di lavoro, ma si limita a una sterile esaltazione di sé.
Gemma Brandi
Psichiatra psicoanalista
Esperta di Salute Mentale applicata al Diritto