11 marzo -
Gentile Direttore,
da Anestesista-Rianimatore impegnato quotidianamente sul campo ho letto con estremo interesse l’articolo a firma di Ivan Cavicchi intitolato “
Gli anestesisti-rianimatori alla prova, fallita, con l’etica medica” e desidererei dare un piccolo contributo a questo difficile dibattito. L’elaborato del professor Cavicchi è una fonte preziosa di erudizione e di elevato pensiero: ne ho apprezzato, ammirato, l’impeccabile rigore filosofico e l’impianto sociologico. Peccato che tutto questo con la realtà…non abbia nulla a che vedere.
E' principio generale della Scienza il fatto che se si parte da premesse sbagliate si arriva a conclusioni sbagliate, a meno di essere baciati dalla serendipità, il che non pare proprio questo caso. Il primo assunto fuorviante sta nel considerare “darwinismo sociale” un processo completamente naturale, che non è come potrebbe pensare il professore la selezione naturale in cui vince il più forte bensì la consapevolezza che la vita umana ha un termine.
Nessuno, tantomeno gli Anestesisti-Rianimatori, divide i malati fra quelli di serie a e di serie b ma sappiamo bene, in quanto ogni giorno alle prese con le problematiche del fine vita, che ad un certo punto tutto finisce. Ci rendiamo anche conto, a differenza di molti Colleghi di altre specialistiche, che non sempre “tutto quel che si può fare” è quel che va fatto: si può prolungare la sopravvivenza di un organismo di un tempo X con opportuno sostegno meccanico e farmacologico, ma ha senso farlo quando non ci sono possibilità di recupero?
Secondo quanto fa capire il professore, già il decidere di non procedere con trattamenti invasivi rappresenterebbe una sorta di supposta onnipotenza da parte del Medico (in molti casi un Anestesista-Rianimatore) che si eleverebbe se non a divinità almeno a strumento laico della evoluzione “sociale” darwiniana o, nella più umile delle ipotesi, a seguace delle “teorie politiche bocciate dalla storia” sulle orme di Malthus.
L’obiezione è che secondo quanto previsto dal documento Siaarti la decisione, in condizioni estreme, venga presa su base meramente economica: qui sta il secondo equivoco. Secondo l’articolo, infatti, ciò che il documento Siaarti prevede è una possibilità "del tutto teorica” perché lo sforzo economico e politico sarebbe tale e tanto, ormai, da garantire una sorta di pletora delle risorse così larga che, una volta finita la crisi “probabilmente ci ritroveremo con un eccesso strutturale”.
Ora, è esperienza comune che, specialmente in Italia, fra il dire e il fare ci sia di mezzo…l’oceano: le promesse ed i piani dei politici si realizzano in tempi poco meno che geologici e comunque si scontrano con una carenza di risorse che non è solo strutturale ma anche di personale. Avere una dozzina di ventilatori o una cinquantina di macchine per ECMO non significa saperli utilizzare. Vogliamo sperare che nessuno pensi che sia sufficiente una laurea in medicina ed una specializzazione qualsiasi affinché, seguito un corso FAD sull’argomento, ci si possa trasformare automaticamente in esperti in ventilazione meccanica.
E guarda caso, in Italia, gli esperti in ventilazione meccanica sono gli Anestesisti-Rianimatori che, come accade per molte altre specializzazioni, sono in numero completamente insufficiente già per soddisfare la normale bisogna. E veniamo all’ultimo e più importante equivoco: la teoria di Rawls. Risulterebbe oltremodo ingiusto applicare un principio che, avvantaggiando i più deboli, penalizzi i più forti: come dicevamo all’inizio pari opportunità sono negate dalla natura dell’essere umano che è, per sua essenza, mortale.
In situazioni di estrema contrazione di mezzi destinare risorse ad un malato giunto al termine della sua esperienza terrena (per una malattia di per sé stessa non suscettibile di guarigione o per la fragilità data da una età estrema) semplicemente perché “più debole” potrebbe toglierle a chi invece potrebbe davvero beneficiarne. Alla fine, per un filosofico, buonista e “politicamente non superato” modo di pensare invece di un morto ne avremmo…due: un bel guadagno, non c’è che dire!
Quindi la posizione della Società Scientifica risulta scomoda ma realistica e soprattutto di gran lunga più giusta. Comprendiamo che ciò sia difficile da capire per chi non rischia di trovarsi ad avere un solo tubo e due pazienti: dalla biblioteca, dove si può attingere al prodotto più raffinato delle migliori menti di ogni epoca si possono valutare con utile distacco gli atti di chi invece si trova alle prese con dilemmi che fanno tremare le vene ai polsi. E, chi fa il nostro Mestiere lo sa bene, il nostro primo pensiero è sempre quello di salvare tutti, mai quello di non salvare nessuno per la paura di essere “politicamente superati”.
L’immaginifico librettista Busenello, autore del testo dell’ultima opera monteverdiana, ebbe a dire “un bel tacer mai scritto fu”: in questi tempi tormentati una massima che ci auguriamo possa restituire a tutti la giusta misura delle cose.
Filippo Bressan
Anestesista Rianimatore
Ospedale Santo Stefano di Prato