12 febbraio -
Gentile Direttore,
lo scorso anno ho completato i miei studi in Osteopatia presso l'istituto italiano autorizzato all'insegnamento della materia in partenariato internazionale. Nei miei cinque anni di studi ho appreso il metodo di somministrazione delle manipolazioni per gestire il rischio e ed essere efficace; mi sono dedicato alla ricerca interdisciplinare nel settore della Distrofia muscolare; ho conseguito un titolo di studio legalmente riconosciuto in Francia e abilitante all'esercizio oltralpe. Ritengo che come tutte le altre professioni sanitarie anche l'Osteopatia necessiti di una considerevole esperienza clinica, ma sono convinto che senza le basi culturali e deontologiche nessuna consuetudine possa approdare a risultati confacenti alle aspettative e garantire sicurezza.
Sono nove i Paesi europei che hanno riconosciuto l'Osteopatia e disciplinato gli studi in ottemperanza alle indicazioni in materia dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. In nessuno di questi è possibile diventare osteopati dopo un corso di laurea triennale, essendo evidentemente dati di rilevanza tecnica la complessità metodologica e l'abilità manuale necessaria per l'esercizio.
In Italia, invece, dove l'Osteopatia è ancora ferma nel suo iter istitutivo, alcune associazione di osteopati sostengono la formazione triennale che non trova al mondo alcuna corrispondenza. Queste, paiono addirittura ignorare quanto definito dalla norma di standardizzazione europea (CEN 16686) da loro stessi sottoscritta. Ancor più paradossale appare questa limitazione delle competenze pedagogiche a fronte dei primi casi di cronaca che descrivono i pericoli delle manipolazioni inappropriate.
Penso che anche l'Italia debba seguire la traccia consolidata nel mondo nel prevedere quanto meno una formazione triennale da completarsi con un biennio specialistico interdisciplinare. E lo stesso curriculum formativo dovrebbe essere il riferimento per ogni iscrizione all'Albo professionale.
Mattia Albertelli
Osteopata D.O. esclusivo (Associazione ADOE)