8 gennaio -
Gentile Direttore,
in questi ultimi anni mi è capitato in più occasioni di essere invitata come relatrice a convegni, workshop, festival, corsi di formazione ECM, per parlare di comunicazione sanitaria, in particolare sui social network. Il più delle volte si è trattato di interventi di un’ora, talvolta di due ore, con l’arduo obiettivo di raccontare perché comunicare la salute sui social media è oggi molto importante in una prospettiva di promozione della salute e prevenzione, e come farlo in maniera efficace.
Ogni volta per me è una bella sfida, dalla quale traggo utili spunti a partire dalle domande che l’uditorio mi pone, che mi aiutano a inquadrare i dubbi, le perplessità. Il risultato è che qualcuno, dopo il mio intervento, mi ferma per chiedermi qualche dritta operativa sull’uso degli strumenti, o la mia email per eventuali consulenze per un progetto in fase di elaborazione. Ma al tempo stesso, ogni volta torno a casa anche con una frustrazione: quella di non essere davvero riuscita a lasciare degli strumenti davvero operativi, su come far sì che l’attività sui social sia realmente efficace. Anche perché il più delle volte i destinatari di questi corsi sono clinici, che non hanno fra i loro compiti la comunicazione, come è ovvio che sia.
Grazie a queste esperienze oggi mi è chiaro che la formazione nell’ambito della comunicazione sanitaria per essere davvero utile a chi ascolta deve fare due cose: darsi tempo, cioè essere pensata non come una giornata di aggiornamento ma come percorso di formazione, e cercare come destinatari anzitutto le persone coinvolte nella progettazione sanitaria.
Sappiamo dalle molte analisi pubblicate (basti pensare ai lavori di E. Santoro e A. Lovari) che le istituzioni sanitarie italiane usano ancora poco gli strumenti di comunicazione digitale. Il punto è che non basta essere presenti sui social, postare dei contenuti o farli diventare virali, per fare prevenzione. La comunicazione se non è integrata (all’intera visione rispetto alla promozione della salute), non è un investimento, ma solo una spesa. Il vero supporto che un consulente può offrire non riguarda come rendere virale un post, ma come esaminarsi, come progettare un’attività di comunicazione. Solo davanti a una serrata progettazione si possono misurare i risultati del proprio investimento, obiettivo per obiettivo, al di là - mi permetto di dire – del numero di followers o dall’engagement rate.
Nel 2019 ho provato a sottoporre al vaglio dell’esperienza queste due intuizioni. Ho messo in piedi grazie alla collaborazione strutturale di Larin Group (web agency) HealthCom Program, un corso in 10 lezioni di due ore ciascuna, della durata di 6 mesi, specificamente sulla comunicazione sanitaria sui social media, con la particolarità di essere completamente fruibile in webinar, cioè connettendosi in video da remoto. Questo permette anzitutto a chiunque di partecipare senza grossi investimenti di tempo per spostamenti e via dicendo (anche perché le lezioni sono registrate e fruibili quando lo si desidera se non si può partecipare in diretta) e dunque di mantenere un costo relativamente contenuto, accessibile anche al singolo giovane professionista, alla cooperativa con risorse limitate.
A dicembre abbiamo concluso la prima edizione, che ha visto la partecipazione di clinici, ma anche di comunicatori, addetti stampa, amministrativi e operatori del terzo settore da tutta Italia.
La particolarità della proposta (che vedrà una seconda edizione da giugno a dicembre 2020) è che la scrittura - “come scrivo un post” “come lo rendo virale” - viene affrontata solo nelle ultime lezioni. Il vero valore – a mio avviso – è aver avuto il tempo per i primi mesi di affrontare tutti gli aspetti relativi alla progettazione di una strategia di comunicazione sanitaria, che usando la trita metafora dell’iceberg, rimangono sempre sommersi. Abbiamo parlato a lungo di posizionamento e di analisi di sé, delle proprie risorse, degli obiettivi, di che cosa significa targettizzare il pubblico, pensare in termini di una comunicazione digitale integrata, come si struttura un piano editoriale social media oriented, come creare una social media policy.
Riflettendo su come è andata questa prima edizione, fatte salve le idee che abbiamo in mente per migliorare ancora nella prossima edizione, mi posso dire finalmente soddisfatta, perché sono riuscita a raccontare la cosa più importante del mio lavoro di comunicatrice e social media manager in sanità: che ciò che funziona (e vi assicuro che funziona!) è grazie a una serrata progettazione e analisi di sé e del proprio contesto.
Io sono un’evidence-based ottimista, e spero che in questo 2020 chi è deputato ad avere una “visione” in termini di promozione della salute si dia più tempo per studiare le potenzialità dell’uso dei social media all’interno di una prevenzione integrata.
Cristina Da Rold
Giornalista sanitaria
Consulente Comunicazione e Social Media, Ufficio OMS di Venezia
Fondatrice di HealthCom Program