28 novembre -
Gentile Direttore,
all’Omceo di Venezia stiamo discutendo, nei consueti appuntamenti dei Mercoledì Filosofici, il tema della violenza contro il personale Sanitario e ci stiamo interrogando quanto questo fenomeno possa essere letto anche in una dimensione più ampia storica e sociale. Alla luce delle nostre discussioni su questo tema e dopo aver convenuto che non basti una
reprimenda del responsabile e del suo agito, occorre sforzarsi di cercare un modo per disinnescare un comportamento così riprovevole proprio verso chi si impegna in una professione di cura prima ancora si manifesti.
Dopo le analisi psicosociali che favoriscono o producono tali disdicevoli eventi, ci siamo chiesti come fornire al medico non tanto strumenti protettivi o tecniche di difesa, ma una formazione che lo metta a riparo, tutelandolo, in modo da non trovarsi ad espiare una colpa che evidentemente non gli appartiene.
Il pensiero da analisi astratta e teorica dovrebbe concretizzarsi in una cultura comunicativa ancora di non completa acquisizione.
Per questo, per esempio, e visto che la maggior parte delle aggressioni verbali e/o fisiche avviene in condizione di interazione carica di emozioni negative e in situazioni di stress elevato, vorremmo introdurre il tema delle emozioni, dei sentimenti e della loro gestione.
Spesso si fa confusione tra sentimento ed emozione e questa supposta sinonimia porta fuori strada rispetto ad una corretta lettura e analisi di ciò che il paziente prova.
L’Emozione è uno stato mentale archetipico che si fa risalire, come origine al sistema limbico, e come tale esplosiva, intensa, ma altrettanto e possibilmente rapida nel dissolversi se opportunamente disattivata. E’ una condizione che può relativamente essere educata perché attiene di più alla nostra Natura piuttosto che alla nostra Cultura.
Il Sentimento, invece, è quello stato mentale in cui alla percezione emotiva si associa una connotazione cognitivo-affettiva e che, non a caso, la sua sede viene posta nel lobo frontale del nostro cervello.
Perché questa distinzione che potrebbe apparire del tutto accademica? Perché in una Società Occidentale come quella che stiamo vivendo in cui anche l’educazione dei nostri figli prevederebbe una Famiglia maggiormente affettiva piuttosto che normativa gli aspetti emotivi vengono tenuti in gran conto e tutta la nostra vita ne è intrisa: gli acquisti, i desideri, le scelte, le attività, etc..
Addirittura non cogliere, provare e riconoscere le proprie e altrui emozioni ci pone in una sorta di stigmatizzabile analfabetismo affettivo.
Oggi nessuna nostra azione è esente da emozioni e la misurazione della nostra soddisfazione nelle nostre attività della vita è il grado di emozioni suscitate ed esaudite.
Chiediamoci come, nella quotidiana domanda di salute, questo stato mentale non possa essere coinvolto: se le cose vanno per il meglio ci si sente invasi da gioia ed entusiasmo, se la situazione diventa preoccupante si cade preda di ansia e terrore.
Se il medico dovesse assolvere anche a questi impliciti bisogni sopraggiunti derivanti dal percorso di cura del paziente sarebbe davvero un buon medico? E in che modo: privilegiandoli?
Pensiamo di no, in quanto sarebbe forse buono per un tempo breve, ma nel medio termine risulterebbe un medico “troppo buono” e forse poco efficace. Rincorrere le emozioni non paga, comprendere o conoscere anticipatamente i sentimenti dell’altro oltre ad essere parte integrante della deontologia aiuterebbe il medico a comunicare e ad interagire costruttivamente con il malato.
Conoscere l’Altro diventa una abilità sociale soprattutto preziosa per quei professionisti che per tipologia di lavoro si trovano allo “sportello” dove non sempre e non utilmente una guardia del corpo, non medico, possa collaborare come filtro.
Comprendere i sentimenti significa avere pazienza di ascoltare e soprattutto disporre del tempo necessario, in particolare nella grande Organizzazione Sanitaria, per contestualizzare la relazione e storicizzarla anche se sarà unica ed irripetibile.
E’ memoria diffusa ascoltare dalle persone ricordi di frasi, frammenti di relazione con medici anche solo incrociati nella vita, che si sono fissate nella loro memoria e fanno parte di vissuti determinanti in un senso o nell’altro.
La relazione con qualunque medico, anche poco verbale, non è mai banale e ci si dovrebbe con forza opporre a chi la vorrebbe asettica e standardizzabile.
In questo momento storico forse sarebbe utile un dibattito allargato e per questo a Venezia ci si sta preparando all’organizzazione di un evento che possa servire da opportunità di confronto per la ricerca di una comunicazione migliore con i nostri pazienti, oltrepassando quel concetto molto in voga in questi anni, ma un po’ svuotato di senso, che è l’empatia.
Marco Ballico
Medico piscoterapeuta Docente IUSVE
Coordinatore Commissione Scientifica Ars Medica, OMCeO Venezia