30 settembre -
Gentile Direttore,
l'accesa discussione sul suicidio assistito mi spinge a intervenire ancora, spero con la stessa saggezza che
Benci mi attribuisce. Aggiungo poche cose alla puntualissima esposizione di
Giovanni Rodriquez, persuaso anch'io che occorra comunque attendere il testo della sentenza.
Sono convinto che il Parlamento discuterà a lungo sopra una questione così ideologizzata e oggetto del solito tiro alla fune sul corpo degli altri che tanto piace ai portatori di verità. Nel frattempo quanto vale sul piano giuridico la sentenza della Corte? Chiedo il parere dei giuristi ma temo che, sia le vicende in corso di giudizio sia quelle che si potrebbero presentare, siano lasciate all'interpretazione delle singole Corti locali e a quella degli Ordini professionali.
I quali tentano di sbrogliare la complessa matassa allontanando l'amaro calice, cioè tentando di dare a altri la responsabilità dell'aiuto la suicidio, il che in nessuna parte del mondo è stato neppure pensato. La Federazione degli Ordini non si è ancora espressa ma alcuni Presidenti, tra cui quella del mio Ordine, hanno sostenuto che la legge oggi in fieri debba stabilire che un rappresentante dello Stato, cioè un pubblico ufficiale, prenda atto delle condizioni del richiedente e prescriva i farmaci necessari a por fine a quella tormentata vita.
Questo è uno strano equivoco:
a) il medico dipendente è un pubblico ufficiale e le altre categorie sono assimilate,
b) la normativa affida la prescrizione dei farmaci e la certificazione solo e soltanto al medico,
c) la Legge istitutiva (L. 3/18), a proposito di procedimento disciplinare, impone agli Ordini la "vigilanza sugli iscritti in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività professionale".
Qualsiasi medico è sempre responsabile sul piano deontologico quindi questa proposta è un escamotage giuridicamente fallace. I medici vogliono affidare la morte al personale amministrativo?
La Corte inoltre fa riferimento ai Comitati etici locali. Uno per ospedale o per ASL? Un bel problema. E' un'incombenza tutta da inventare e prima occorre formare il personale. Dovrebbe intervenire prontamente il Ministero della Salute e anch'io temo la burocratizzazione della morte, altro che diritto mite che tutti predicano e per ora vedo lontano!
Altra questione preoccupante è il livello della discussione parlamentare. Sui sei DL depositati alcuni sono ragionevoli e, volendo, unificabili. Però il problema del Parlamento è l'incompetenza scientifica. Ad esempio la proposta Marcucci prevede la "sedazione palliativa profonda continua fino al raggiungimento della morte". Ma la richiesta suicidaria non sempre, anzi raramente, avviene nell'imminenza della morte. Nessuna tra le normative esistenti nei diversi Stati richiede la prognosi.
Il Codice Deontologico obbliga i medici all'assistenza al morente. Oggi, quando la medicina con i suoi successi crea anche queste terribili situazioni di morte protratta e poco dignitosa, vogliamo abbandonare il paziente nel momento della morte che è parte della vita? Ecco perché ritengo che le osservazioni del
Prof. Pessina, corrette per una discussione filosofica e etica, si scontrino con la vita. Lasciamo parlare coloro che come me hanno 50 anni di pienissima professione e hanno toccato con mano il sorgere e il diffondersi di una morte medicalizzata dalla tecnologia. Bella o brutta che sia siamo a una svolta della medicina e bisogna farsene una ragione.
Questo è un raro caso in cui concordo con quel che scrisse tempo fa
Cavicchi su questo giornale. Le 100 tesi sono dedicate al rapporto tra medico e paziente e il suicidio assistito non merita di essere la centunesima?
Infine l'obiezione di coscienza dei medici è già prevista nella prima Ordinanza della Corte (la 207/18) e da tutti i 6 Disegni di Legge sui quali è iniziata la discussione in Commissione. L'obiezione di coscienza in siffatte situazioni è un diritto irrinunciabile del medico.
Un'ultima osservazione: questo argomento è terribile e angoscioso. In tutto il mondo se ne discute e i medici sono lacerati. E' difficile accettare un tale cambiamento. Noi medici siamo convinti (e io sono tra questi) che la deontologia sia più obbligante della legge. In questo caso però si è espressa la Corte Costituzionale che ha messo in luce il contrasto tra questo antico divieto di aiuto al suicidio, sia pur in determinate condizioni (la morte medicalizzata!), e il principio costituzionale dell'autodeterminazione. Il Codice Deontologico può essere difforme dalla Costituzione?
Antonio Panti