26 settembre -
Gentile direttore,
venerdì 20 settembre, come
riportato puntualmente da QS, la Fnomceo è stata ricevuta in udienza dal Santo Padre. C'ero anch'io nella delegazione ed ho quindi potuto ascoltare direttamente il suo discorso. Non voglio raccontare qui le mie emozioni, anche se non lo nego sono state molto forti, voglio però invitare i miei colleghi a rileggere e a meditare le parole del Papa, cercando di confrontarle con le 100 tesi che stiamo discutendo per gli Stati Generali perché, emozioni a parte, la cosa che più mi ha sorpresa, è stato accorgermi della totale sintonia tra il discorso del santo padre e alcune delle 100 tesi propostoci dal prof Cavicchi.
Come è possibile questo? Forse la risposta sta nel fatto che la crisi che noi viviamo è legata a un forte divario tra “ciò che siamo” e ciò che “dovremmo essere”, e questo divario che nelle 100 tesi viene letto come una questione paradigmatica da risolvere, il santo padre, la pone come questioni morali irrisolte; per cui il “dover essere” del medico, che è un ideale deontologico/etico per il santo padre, coincide in molti punti con quello delle 100 tesi che è una strategia professionale.
In entrambi i casi si tratta di diventare medici per essere adeguati in un caso alla regola morale della chiesa, in un altro caso a questa società.
Lavorare per ridefinire la nostra professione, per un medico e una medicina adeguata al contesto sociale che cambia , diventa così non solo una strategia anti-crisi ma implicitamente anche una risposta morale ai bisogni di questa società.
A sostegno di questo mio pensiero vorrei proporre alcuni esempi.
Il Santo Padre sostiene che:
1) la medicina, per definizione, è “servizio alla vita umana”, “alla persona” quindi “dell’uomo, di tutto l’uomo, di ogni uomo”. Questo non è molto diverso da quello che sostiene il presidente Anelli quando dice che il medico è al servizio del cittadino, non dello Stato (“I medici vogliono essere considerati come coloro che riescono a garantire i diritti di questa società; i diritti sono in capo ai cittadini e quindi i medici diventano i medici dei cittadini “) e da quanto sostenuto dalle 100 tesi quando la persona è declinata come “esigente” cioè come un soggetto etico e sociale oltreché un corpo malato;
2) “la malattia è più di un fatto clinico, medicalmente circoscrivibile;è sempre la condizione di una persona, il malato” per cui non basta la conoscenza scientifica ma ci vogliono altre conoscenze ed altri valori ed altri significati, ed è esattamente quello che dicono le 100 tesi quando parlano di malato complesso , un malato non riducibile alla malattia;
3) “di fronte, a qualsiasi cambiamento della medicina e della società da voi identificato, è importante che il medico non perda di vista la singolarità di ogni malato, con la sua dignità e la sua fragilità”. Il valore della singolarità è un punto centrale nelle 100 tesi, attraverso questo valore si dimostra l’inadeguatezza di un paradigma pensato solo sulla malattia e sulla sua descrizione convenzionale cioè standard. Come dire che la singolarità non va d’accordo con lo standard e che lo standard, come ad esempio le evidenze scientifiche, non sono verità dogmatiche;
4) i medici oltre a “possedere una competenza tecnico-professionale”, devono possedere “un codice di valori e di significati con cui dare senso alla malattia”: nelle 100 tesi si distingue il significato scientifico della malattia, dal senso, che il malato dà alla propria malattia, quindi la verità scientifica del medico dall’opinione del malato, invitandoci a confrontarci con i problemi del senso che sono sempre problemi della persona;
5) “ogni singolo caso clinico è un incontro umano”: questo apre al grande discorso della relazione e della sua straordinaria importanza ai fini della conoscenza. Mentre la malattia si conosce con l’osservazione dei fatti, il malato si conosce con la relazione ”L’incontro umano” di cui parla il papa, nelle 100 tesi è declinato come relazione di cura.
Tra le 100 tesi e il discorso del Santo Padre emergono tante sintonie e tante affinità che, implicitamente, suggeriscono che anche il Papa auspica un adeguamento del paradigma e una evoluzione della professione. Si tratta, ovviamente, di una alleanza ideale, e di una coincidenza di punti di vista, nulla di più, ma il cui significato “politico” non andrebbe trascurato.
L’insistenza del Santo Padre nel sottolineare il valore della singolarità mi ha fatto ricordare alcuni nostri colleghi che di fronte alla 100 tesi, in particolare a quella parte che sottolinea il passaggio culturale dalla malattia al malato, scuotono la testa obiettando che loro non hanno mai curato le malattie ma hanno sempre curato i malati. In un certo senso è così se non altro per ragioni deontologiche, ma se si prendono i piani di studi oggi in vigore nelle nostre facoltà ci si accorge quanto questo sia più apparente che reale. L’intera formazione del medico ancora oggi è incentrata sulla malattia intesa come “complicazione” ma in nessun caso sul malato inteso come “complessità”.
Ancora oggi non esiste un solo insegnamento che metta in grado il medico di avere una relazione di cura con il malato, o di comprendere oltreché i problemi del significato scientifico, quelli del senso, o di interpretare in autonomia le sfide della singolarità, o di destreggiarsi dentro contesti avversi pieni di limiti di ogni sorta, cioè di essere in grado di governare la complessità. Per il nostro paradigma malattia e paziente sono la stessa cosa per cui curare la malattia significa curare il paziente e curare il paziente è sempre un procedimento logico lineare e convenzionale. Così noi creiamo delle “giustapposizioni” con il malato ma non “relazioni” e questo oggi non può più essere così,come giustamente sottolineano, tanto il Papa che le 100 tesi.
Oggi la malattia è un sottosistema del sistema malato e il malato come dicono le 100 tesi è “un mondo a molti mondi”. Se oggi esiste il contenzioso legale, se cresce il grado di sfiducia nei nostri confronti, se siamo costretti a mettere mano alla medicina difensiva, se ci aggrediscono nei servizi, se molti malati preferiscono il web al medico, se come professione siamo in crisi, vuol dire che a tutt’oggi noi curiamo le malattie quindi i pazienti ma non i malati quindi gli esigenti.
Il cambio di paradigma proposto dalle 100 tesi va quindi nella direzione indicata da papa Francesco ed è anche ciò che la società attuale ci chiede: un medico e una medicina diversi in grado di dare valore alla singolarità del malato attraverso una relazione dialogica capace di conoscere il contesto dell'individuo, di capirne le sue ragioni e di rispettare la sua autonomia. Solo così potremo vedere nel paziente“ un uomo o una donna da accompagnare con coscienza, con intelligenza e cuore, specialmente nelle situazioni più gravi” come ci ha suggerito il Santo Padre.
L'invocazione finale del santo padre alla Vergine Maria Salus Infirmorum ci rammenta ancora una volta che l'interesse del medico non è il morbus ma l'infermo, il malato.
Anche per il Santo Padre, oltreché per le 100 tesi, si tratta due paradigmi molto diversi.
Ornella Mancin
Medico di famiglia
Presidente Fondazione Ars Medica