9 settembre -
Gentile Direttore,
in questi giorni è in atto una seria valutazione del decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dell'economia e delle finanze, in merito ai requisiti sanciti dall’articolo 10 della legge 24 che riguarda l’obbligo di assicurazione per tutti gli esercenti della professione sanitaria, cioè tutti quei professionisti che hanno svolto un percorso di studi presso uno dei tanti atenei italiani nei quali è presente la facoltà di medicina e chirurgia titolare della formazione oltre che dei futuri medici, anche di tutte le professioni sanitarie non mediche.
Ebbene al vaglio dei ministeri c’è un decreto che dovrebbe esplicitare e normare le caratteristiche assicurative richieste dalla sopracitata legge.
Tutto ciò rientra nella normalità dell’iter legislativo, in quanto l’indirizzo politico di una norma deve essere regolamentato ed esplicitato in ogni suo aspetto, da norme tecniche che dovrebbero regolamentare l’attuazione pratica della legge in oggetto.
Quindi il Ministero dello sviluppo economico, ha formulato in sinergia con i ministeri di riferimento un documento di bozza e come si legge nell’articolo apparso su “quotidiano sanità” del 26 agosto a penna del giurista Benci, noto per l’interesse nella formazione in ambito sanitario, lo schema del decreto è stato “fatto circolare”, si auspica, all’attenzione di ordini professionali e sindacati, per una valutazione e si spera per garantire, nel caso, una revisione condivisa da tutti i soggetti interpellati, capace di plasmare le norme alla realtà professionale.
Sicuramente la bozza verrà vagliata e integrata, ma la domanda che un semplice professionista sanitario con un minimo di curiosità e perplessità si pone leggendola è la seguente: cosa ha spinto il legislatore a inserire nei requisiti minimi ed uniformi per l'idoneità dei contratti di assicurazione all’articolo 3, i commi 3 e 7 così formulati?
Si riportano per chiarezza e semplicità i suddetti commi:
III- “Per le coperture di cui all'articolo 10, comma 3, della Legge, l'assicuratore si obbliga a tenere indenne l'esercente la professione sanitaria presso la struttura, a qualunque titolo, per tutte le azioni di responsabilità amministrativa, rivalsa o surroga esercitate nei suoi confronti ai sensi e per gli effetti dell'articolo 9, commi 5 e 6 della Legge e, in caso di azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore, ai sensi dell'articolo 12, comma 3, della Legge. In questo caso, il diritto di rivalsa dell'assicuratore può essere esercitato nei confronti dell'assicurato qualora l'esercente la professione sanitaria non abbia regolarmente assolto all'obbligo formativo e di aggiornamento previsto dalla normativa vigente in materia di educazione continua in medicina per il triennio formativo precedente la data del fatto generatore di responsabilità.”
VII- “Ad ogni scadenza contrattuale, per le coperture di cui ai commi 1 e 2, è prevista la variazione in aumento o in diminuzione del premio di tariffa in vigore all'atto dell'eventuale nuova stipula in relazione al verificarsi o meno di sinistri nel corso della durata contrattuale, alla sinistrosità specifica tenuto conto dei dati di cui all'articolo 6, comma 2 e all'assolvimento dell'obbligo formativo e di aggiornamento previsto dalla normativa vigente e dalle indicazioni della Commissione nazionale per la formazione continua anche sulla base delle linee di indirizzo dell'Osservatorio di cui all'art. 3 della Legge. Le variazioni del premio di tariffa devono essere in ogni caso coerenti e proporzionate alla variazione dei parametri adottati per la definizione del premio stesso”.
La valutazione di tali commi potrebbe lasciare spazio a diverse interpretazioni più o meno maliziose, ma sicuramente la perplessità ingenua dello scrivente pone l’obbligo di analizzare la situazione normativa considerando la realtà sanitaria in cui tutti gli operatori del settore sono chiamati a operare.
Si precisa quindi, che la legge Gelli-Bianco, parla di operatori sanitari in quanto, con tale termine, considera tutti gli attori che nel panorama sanitario, sono chiamati a garantire, nel rispetto della propria autonomia professionale un livello di prestazioni sanitarie specifiche stabilite dal proprio profilo sanitario, quindi non solo della categoria dei medici, affinché siano garantiti i più alti livelli prestazionali. Su tali competenze erogate, gli esercenti della professione sanitaria, saranno chiamati a risponderne penalmente, civilmente e disciplinarmente, qualora si dovesse recriminare una condotta imperita, negligente, imprudente o incoerente con il codice deontologico di riferimento.
Detto ciò, visto che l’articolo 10 della legge 24 Gelli-Bianco, a garanzia di tutti i soggetti coinvolti, pazienti, operatori sanitari e strutture ospedaliere, ha previsto l’assicurazione professionale obbligatoria, non si comprende perché tale assicurazione debba essere correlata all’assolvimento dei crediti formativi in medicina -ECM.
Considerando che la formazione continua non è sempre rivolta a soddisfare i bisogni di aggiornamento teorico-pratico specifico in relazione all’occupazione professionale abituale, perché i corsi abbracciano materie trasversali o vari ambiti tecnici, spesso distanti dall’attività svolta. Ciò perché la scelta viene fatta considerando anche i costi, l’offerta formativa presente in quel momento e l’impegno richiesto. Tutto ciò crea di fatto una distorsione della normativa, aprendo la strada a molteplici critiche in relazione agli obiettivi che tale sistema formativo si era posto, penalizzando il professionista.
Per comprendere meglio si riportano alcuni esempi.
Se ad esempio l’infermiere di area critica dovesse frequentare un corso specifico accreditato in ambito legale forense o in mobilizzazione del paziente paraplegico, o il fisioterapista che opera in una unità spinale dovesse frequentare un corso di aggiornamento nella compilazione della cartella clinica o di risk management, ed entrambi gli operatori frequentando questi corsi raggiungessero i credi formativi sufficienti per garantirsi la copertura assicurativa, sicuramente nonostante la preparazione non sia stata specifica per l’attività svolta, si troverebbero nella condizione di sicurezza assicurativa durante un contenzioso.
Altresì se l’infermiere, il fisioterapista, l’ostetrico, il tecnico di laboratorio o di radiologia e così via per tutte figure professionali sanitarie, non mediche nel panorama sanitario Italiano, che dopo aver partecipato a corsi accreditati specifici, per la loro formazione ma soprattutto per poter espletare al meglio il proprio operato quotidiano, senza aver raggiuto TUTTI i crediti formativi richiesti, rischiano un’azione di rivalsa da parte della propria assicurazione, anche se la loro formazione fosse eccellente. Tutto ciò non è ammissibile.
Inoltre non bisogna dimenticare che al momento è prevista soltanto, nei confronti dei professionisti sanitari che non hanno provveduto al raggiungimento dei crediti formativi richiesti, una sanzione disciplinare da parte dell’ordine professionale di riferimento. Ma considerando che gli stessi sono abilitati all’esercizio della professione sanitaria perché in possesso di una formazione universitaria avvallata da un esame di stato abilitante, non si comprende perché inserire una clausola così penalizzante per gli operatori sanitarie e apparentemente sbilanciata a favore di enti di formazione e assicurazioni. Diviene assai impossibile non esprimere una profonda preoccupazione e un deciso dissenso.
Di conseguenza il sistema che si sta delineando rischia di creare una vera inversione di marcia dall’obiettivo iniziale che consisteva nell’incrementare: professionalità, qualità delle cure e soprattutto, il numero di operatori che scelgono queste nobili professioni.
Poiché la situazione lavorativa sanitaria non è più tollerabile a causa di turni massacranti, contratti di lavoro che a fatica subiscono adeguamenti salariali (per il comparto Sanità Privata si è perso il conto degli anni dall’ultimo adeguamento) e costi che sono in continua crescita (obbligo di iscrizione all’ordine professionale, di assicurazione, di formazione continua), l’inserimento di una norma così penalizzante rischia di alimentare contenziosi e l’abbandono professionale.
Bisogna quindi garantire il SSN, tutelando la libertà di espressione professionale che permette di fornire all’utenza, prestazioni in linea agli standard di qualità che lo stesso Sistema Sanitario Italiano si è posto di fornire nonostante i continui tagli economici ma che proprio queste norme rischiano di ingessare.
Marco Castioni
Fisioterapista e Osteopata
Specializzazione in ambito Legale, in Valutazioni Criminologiche Clinico Forensi e Gestione del Rischio Clinico.
Responsabile Ufficio Relazioni Pubbliche-Associazione Professioni Sanitarie Italiane Legali e Forensi-APSILEF