17 giugno -
Gentile Direttore,
apprendiamo dalla relazione del Dr. Starace alla conferenza nazionale per la salute mentale, tenutasi al ministero della salute, che non di soli urgentisti, ortopedici, ostetrici, anestesisti vive l’uomo, ma anche di psichiatri. E pare, ma tanto lo avevamo già detto, che anche di questi da qui al 2025 ci sarà carenza. Come mai lo sapevamo?
Lo sapevamo In quanto da un paio d’anni stiamo assistendo ad uscite in massa ed ingressi con il contagocce. Perché è un sistema, che soprattutto nei reparti ha storicamente organici sottodimensionati, temo retaggio di una psichiatria che custodiva senza preoccuparsi di curare e per la quale bastava un passaggio di poche ore e via. Ma che si è trasformato negli anni, diventando ciò che doveva diventare: un sistema che cura e che necessità di professionisti e tempo per farlo. Da alcuni anni, diversi anni a mio sentire, ma sono parte in causa, mancano sia gli uni che l’altro.
Sono stata recentemente ad un interessante evento formativo in cui si dibatteva tra gli altri, del problema della salute mentale in carcere, della chiusura degli OPG, delle REMS, del gap tra misure alternative alla carcerazione per chi è affetto da patologia fisica e psichica (come se la malattia mentale aleggiasse nell’aria e non trovasse una sua concreta sede corporea nel cervello).
È emerso chiaramente come il disagio nelle carceri sia elevato per detenuti e operatori, si è parlato dell’entusiasmo di chi lavora nelle REMS. Non una parola è stata spesa per dire cosa si stia consumando nei reparti ospedalieri di psichiatria di tutta Italia dalla chiusura degli OPG ed a causa della scarsità di posti e delle caratteristiche intrinseche delle REMS.
Persone ricoverate in ospedale e costrette a subire i comportamenti violenti di carcerati condannati in via definitiva, ma affetti da patologia psichica, che circolano liberamente all’interno di reparti. Reparti che dopo decenni di duro lavoro stanno finalmente superando le caratteristiche coercitive in applicazione della legge 180/78. Che devono e vogliono superare la contenzione fisica e farmacologica.
Strutture che ricoverano dai pre adolescenti ai grandi anziani esponendoli alle azioni disturbanti di chi, per legge, dovrebbe avere una collocazione altra, in luoghi isolati, proprio per proteggere il resto della società dalla loro pericolosità. Ma che stazionano in reparti vocato all’utenza per periodi che paiono ed a volte sono interminabili, in attesa di una collocazione che non c’è.
Operatori che hanno firmato contratti di lavoro con una struttura ospedaliera e che si trovano a fronteggiare da soli, a mani nude e senza protezione, autori di reato. Operatori che subiscono aggressioni.
Nel disinteresse generale, perché mentre tutti ci indigniamo giustamente per gli atti di violenza e vandalismo nei pronto soccorso, diamo per scontato non si sa perché, che questi debbano essere il pane quotidiano di chi lavora in un reparto psichiatrico. Ma non è così, o meglio non lo era, ma sta tornando ad esserlo: un po’ perché la violenza è maggiormente presente in tutti i contesti sociali, un po’ perché gestire in un normale reparto ospedaliero più persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale insieme a cittadini comuni porta a questo.
Pensiamo che offrendo queste condizioni di lavoro ci sarà la fila di medici disposti ad iscriversi alla scuola di specializzazione in psichiatria?
Reparti il cui organico è composto da due (non scherzo) due medici per 15 pazienti? Reparti che sulla carta dovrebbero garantire assistenza nell’arco delle 24 ore con organici “da fame”.
Anche in questa professione, le regole di ingaggio sono così cambiate ed in senso negativo nel corso degli anni, che ovviamente più nessuno vuole giocare a questo gioco.
Per non parlare delle continue pressioni, delle aspettative spesso deluse non solo dei pazienti, ma delle famiglie e della società. E delle responsabilità delle quali sei caricato se si pensa che ci sono sentenze che puniscono il medico per le azioni dei pazienti, come se questi non fossero esseri consapevoli e dotati di libero arbitrio.
Sempre nello stesso evento formativo, estremamente interessante, è stata detta una grande verità, la psichiatria non potrà mai liberarsi di quell’aspetto ambiguo di cura è custodia, anche letta nei termini di custodia attraverso la cura.
Ma proprio per la gravità del fardello, ritengo che anche allo psichiatra dovrebbe essere concessa l’attenzione dovuta alle professioni disagiate, stressanti, mi vien quasi da dire usuranti.
Ridisegnare il sistema di cura senza ipocrisie, in una popolazione con sempre maggiore disagio psichico, disagio sempre più agito, senza controllo, senza riflessione sulle conseguenze; valorizzare i professionisti riconoscendone adeguatamente impegno e competenze, mettendoli nelle condizioni di lavorare al meglio, concedendo il tempo necessario all’espletamento di lavoro di qualità ed in sicurezza.
Forse qualcuno tornerà ad innamorarsi della professione e superati questi anni di crisi, a scegliere questo percorso formativo. In caso contrario, reciteremo l’ennesimo de profundis.
Ester Pasetti
Psichiatra - Segretaria Anaao Assomed Emilia Romagna