19 maggio -
Gentile direttore,
qua e là per la Regione Emilia Romagna tornano pressioni sui medici affinché prescrivano con maggior decisione farmaci generici. L’utilizzo ormai largamente prevalente dei farmaci generici e a brevetto scaduto ha dato vantaggi non indifferenti al Servizio Sanitario regionale e ha dato l’opportunità alla comunità e ai cittadini di risparmiare in modo rilevante.
Oggi, però, nonostante sia encomiabile la preoccupazione per la spesa, che fasce reddituali deboli sostengono per farmaci di “marca”, forzare ulteriormente la sostituzione di questi con prodotti generici potrebbe indurre conseguenze non favorevoli sul piano terapeutico. Per noi che ci occupiamo quotidianamente del problema, la girandola di prodotti con confezioni diverse è certamente uno degli elementi che, ad alcune tipologie di pazienti, soprattutto anziani, talvolta ingenera confusione e può ridurre la correttezza e la giusta aderenza alle terapie.
Veniamo ai dati della spesa farmaceutica convenzionata nel 2018 che, a mio avviso, si prestano a interessanti considerazioni: in Emilia Romagna la spesa lorda per la farmaceutica convenzionata si è attestata, nel 2018, intorno ai 580 milioni di euro e la spesa per farmaci di marca a carico dei cittadini, il così detto copayment (in pratica il ticket sui farmaci di marca), si è attestato intorno ai 65 milioni di euro pari a circa l’11% dell’ammontare complessivo della spesa per farmaci.
In pratica, un costo medio per cittadino dell’Emilia Romagna, di circa 14 Euro annui. Per completezza informativa e per valutare bene l’impatto economico dobbiamo anche ricordare che sui farmaci di “marca” le aziende applicano uno sconto obbligato, in forza della L. 662 del 96. A carico, quindi, del sistema sanitario e quindi sulla fiscalità generale, dall’uso di questi prodotti, deriva, sempre in Emilia Romagna, una riduzione della spesa di oltre 14 milioni di euro (Euro 3,25 risparmio pro capite anno).
Oggi, proprio allo scopo di tutelare i cittadini più fragili e a più basso reddito, è venuto il momento di parlare di appropriatezza e di spese indotte sui cittadini anche nel campo degli integratori e in particolare, dei così detti Nutraceutici. Difficile fare, della categoria, di tutta un’erba un fascio, ma ci pare corretto porsi il problema delle dimensioni dell’esborso che deriva da quel mercato. Alla gran parte dei nostri pazienti, infatti, non è chiara la differenza tra farmaci e integratori e non vi è alcuna percezione del valore intrinseco di gran parte degli stessi. I Nutraceutici hanno indotto, nel 2018, una spesa pari a circa 250 milioni, circa 57 euro annui per ogni cittadino dell’Emilia Romagna, neonati compresi, e cioè oltre cinque volte la spesa che la comunità tutta ha sostenuto per i farmaci di “marca”.
Se ci prendessimo la briga di controllare il contenuto di molti di questi prodotti, in particolare di quelli usati e consigliati come se fossero farmaci … avremmo delle sorprese interessanti: il contenuto dei principi attivi più comuni varia, infatti, da un centesimo a un millesimo delle dosi indicate dalla farmacologia (es: acido Ascorbico 5 mg, Cobalamina 1,8 mcg, 6 mg di statine “naturali”, menta piperita quanto basta …).
L’utilità e la necessità di questi prodotti lascia, quindi, come minimo, molti dubbi. Nello sforzo comune di razionalizzazione la spesa per la salute non sarebbe forse fuori luogo porre l’attenzione dell’amministrazione sanitaria anche su questi temi. Non possiamo pensare di tutelare i cittadini dimenticandoci di una spesa di queste dimensioni che rischia di annullare persino la riduzione degli esborsi ottenuta attraverso il recente e ingente taglio dei ticket per prestazioni sanitarie.
Per quanto mi riguarda, ciò che più dispiace è che gran parte di queste “prescrizioni” viene direttamente da strutture del Servizio Sanitario Regionale e queste sono percepite dagli assistiti come vere e proprie terapie cui è rischioso sottrarsi. Il mestiere del medico è un mestiere complesso e talvolta diventa indispensabile fare affidamento anche sull’effetto placebo, ma da qui a pensare che ogni prescrizione debba contenere un qualche placebo ce ne passa. Prescrivere a pazienti con bassi redditi prodotti molto costosi (i prezzi si aggirano tutti intorno ai 25 euro per confezione), non solo non è rispettoso di condizioni economiche difficili, ma produce sofferenza nelle persone, riduce il consenso e la fiducia nel servizio sanitario universalistico e propone diseguaglianze inutili e ingiuste. Molti ci chiedono: “ma perché questo non lo passano?”. Vi garantisco è difficile rispondere…
Ci sarebbe piaciuto che nella recente Delibera della Regione Emilia Romagna per la “Farmacia dei servizi”, oltre a pensare di attribuire ai farmacisti funzioni discutibili, come la “segnalazione di errori nelle terapie”, la “riduzione della variabilità nelle terapie”… fosse stato almeno citato il problema e si fosse preso atto dell’evidente conflitto che d’interessi che potrebbe derivare da “colloqui strutturati di educazione sanitaria”, dalla “use review dei farmaci” … In passato il Legislatore e l’arcaica saggezza, avevano rigidamente separato le funzioni prescrittive da quelle di erogazione e vendita dei farmaci (e dei “simil farmaci”).
Oggi si tende, non si sa con quale pubblica utilità, a confondere ancora una volta i ruoli. Ancora una volta si rischia di creare steccati tra le categorie professionali e contrapposizioni inutili e dannose, soprattutto in un momento in cui si dovrebbero trovare, tra i medici del territorio e le Farmacie private, utili sinergie … Integrazione e multi professionalità o multi confusione e disintegrazione!
In conclusione, ci sembra opportuno elencare due vie percorribili per ottenere un risparmio di spese non sempre motivate a carico del cittadino:
1.Una maggiore pressione sui medici affinché prescrivano prodotti generici (basso impatto di spesa a fronte di possibili difficoltà di compliance).
2.Una riduzione della prescrizione di nutraceutici e integratori (alto impatto di spesa a fronte di un effetto terapeutico nullo o assimilabile al placebo).
È evidente che riteniamo auspicabile ridurre l’uso d’integratori e nutraceutici, piuttosto che forzare la mano del medico verso un’ulteriore e talvolta problematica prescrizione di farmaci generici e su questa, apparentemente ovvia scelta, a qualcuno pare utile introdurre altri attori in evidente conflitto d’interessi.
Fabio Maria Vespa
Segretario regionale FIMMG Emilia Romagna