15 maggio -
Gentile Direttore,
si potrebbe affermare che la deriva in sanità sia iniziata quando è passata l'idea che “anche in medicina prima di ogni cosa, quindi prima della scienza e della morale , viene l'economia che tutto soggioga e tutto genera” (100 tesi pag. 199). Del ruolo che ha l'Economia nelle scelte di sanità pubblica se ne è parlato a Venezia già alcuni anni fa in un Convegno organizzato dall'OMCeO dal titolo evocativo “ Il potere sulla vita: Etica o Economia della cura?”, i cui atti sono pubblicati da Mimesis (2017)
Scriveva allora il prof. Stefano Campostrini economista di Ca' Foscari che “tendenze epidemiologiche , sociologiche e tecnologiche inducono una pressione sulla spesa sanitaria... Si muore più vecchi, e si convive più a lungo con malattie croniche. Se sono aumentati gli anni di salute, sono aumentati anche gli anni di disabilità con una tendenza che se non viene arginata, farà saltare il banco della sanità pubblica, soprattutto se affiancata dalla riduzione della fecondità … se cresce il carico assistenziale, anche la risposta prima, quella famigliare, sembra andare in crisi: le famiglie sono sempre più fragili …L'altro elemento di pressione è quello della tecnologia, che contrariamente al pensiero comune, non fa risparmiare, anzi. Come moltissimi studi hanno dimostrato, l'innovazione tecnologica in medicina, se da un lato ha portato indubbia efficacia e crescente salute, dall'altro ha portato anche a una pressione non indifferente sui costi. E in questo ambito i nuovi farmaci sono paradigmatici (vedi farmaci per la cura dell'Epatite C)”
Appare quindi inevitabile che il diritto alla salute debba fare i conti con la spesa, come pure che il medico debba contribuire alla sostenibilità del sistema.
“La medicina è sollecitata sempre più ad adattare la necessità di cura delle persone ai problemi della spesa pubblica, a mediare le possibilità della sua razionalità scientifica con la disponibilità delle risorse”, (100 tesi pag. 201).
E certo non si può dire che questo non sia stato fatto. Sono ormai anni che sentiamo parlare di “appropiatezza” diagnostica e prescrittiva, da molto tempo che la spesa farmaceutica specie quella territoriale è sotto stretto monitoraggio e molto è stato fatto per ridurre gli sprechi e le diseconomie.
Ma quanto di tutto questo è avvenuto rispettando l'autonomia decisionale del medico?
Per un medico “prima di ogni cosa viene la necessità del malato anche prima dell'economia . Ad un medico non si può chiedere il contrario perché non sarebbe più un medico”, (100 tesi).
Quindi se da una parte l'operare del medico non può essere neutro rispetto alla sostenibilità del sistema, dall'altra parte l'etica professionale impone di mettere sempre al primo posto la cura del paziente.
“I limiti economici tuttavia non sono solo un problema di quantità di risorse disponibili , ma anche di qualità di sistema”. E qui mi piace riprendere un pensiero di Campostrini, “Quella della sostenibilità è una sfida che non può essere lasciata a chi si occupa di economia. E se nelle riflessioni alte si deve accogliere il contributo di tutti i ricercatori e studiosi delle diverse discipline che si occupano di salute, la realizzazione di questi pensieri non può che realizzarsi attraverso le mani di chi opera nei diversi ambiti sanitari...e in prima linea vedo i medici...”.
Il medico non può non essere coinvolto nella “gestione del limite economico. Se è vero e lo è che il medico deve diventare una specie di “Homo economicus”, nel senso di essere attento nell'esclusivo interesse del malato, alle conseguenze economiche dei suoi atti, delle sue scelte”, è altrettanto vero che la gestione della sostenibilità del sistema deve essere garantita non “contro il medico ma attraverso il medico perché “L'economia contro la professione vale come se fosse contro il malato”
Oggi è in crisi l'autonomia della professione schiacciata sempre più dai vincoli di bilancio.
Finora è valso il principio che “siccome per ragioni economiche è impossibile far coesistere l'autonomia del medico con l'azienda, allora uno dei due si deve adattare all'altro, cioè il medico deve accettare le condizioni del dominante (azienda).
Se è impossibile ritornare a una sanità gestita in modo esclusivo dalla classe medica senza alcun controllo dei criteri di adeguatezza e di efficienza del servizio prestato, non è nemmeno accettabile che questi criteri si sostituiscano al bisogno di senso che sta alla base della relazione di cura .
Come può allora il medico avere un ruolo di garante della salute del paziente pur tenendo conto dei vincoli economici?
Cavicchi nelle sue tesi individua una possibile soluzione: “far coesistere due valori, l'autonomia del medico e l'azienda, a condizione di definire certi condizionali, i condizionali giusti sono quelli che creano circostanze/situazioni tali da consentire la loro coesistenza”.
La professione medica e l'economia sono spesso in contraddizione ma si possono creare le condizioni favorevoli perché i due valori separatamente possibili, possano essere compatibili .
Il professore definisce nelle tesi questa una “relazione di compossibilità” realizzabile a suo avviso se si tiene conto che gli “obbiettivi compatibili” non dipendono solo dalle risorse messe in campo, ma anche dalle condizioni di compatibilità che si possono creare e su questo entra in gioco l'intelligenza , l'autonomia e la responsabilità del medico.
“Il medico compossibile è colui che governa il limite economico a cui è esposta la sua prassi rimuovendo le contraddizioni che vi sono tra il suo modo di essere, la sua organizzazione e le necessità del malato”, (Tesi 59).
Il concetto di “compossibilità” esposto nelle tesi dal prof. Cavicchi è affascinante ma certo non di facile realizzazione. Sicuramente però la strada di una maggiore autonomia e responsabilità del medico sembra l'unica percorribile se vogliamo sottrarre la nostra professione al declino e allo snaturamento a cui è giunta a causa dei limiti imposti dall'economia.
Ornella Mancin
Presidente Fondazione Ars Medica
OMCeO Venezia
* i virgolettati fanno riferimento a frasi delle tesi del prof. Cavicchi