23 aprile -
Gentile Direttore,
il
suo è certamente un sogno condiviso da tanti: la diffusa consapevolezza che nella gestione sana delle nomine potrebbero guadagnarci tutti (facciamo quasi tutti). Certo ci guadagnerebbero i cittadini e questo da solo giustificherebbe ogni sforzo che potesse aiutare la realizzazione del sogno.
Certamente potrebbe valere la pena di trovare forme di sostegno “concreto” al percorso di cambiamento culturale che il sogno richiede. Qualcuna di queste forma potrebbe essere, per così dire, di carattere istituzionale. Dal momento che la selezione dei dirigenti quando fatta senza riferimento a criteri di merito per definizione si traduce in “cattivi” risultati a tutti i livelli perché non rendere più robusto ed affidabile tutto il sistema di valutazione a partire da quello centrale per arrivare a quello di unità operativa e persino individuale?
Un pezzo dell’impalcatura c’è (bene o male) ed è rappresentato da tutto il sistema di valutazione della performance in applicazione della
cosiddetta Legge Brunetta e sua successiva modifica. In realtà l’applicazione di questa normativa in sanità ha molto della montagna che ha partorisce il topolino. Di fatto tutto il processo si traduce molte volte in una dichiarazione tipo vecchio “uomo Del Monte che ha detto sì” (quello delle banane mature): nel nostro caso, il sì riguarda gli incentivi che sì, si possono pagare. Una analisi manco tanto approfondita dei siti aziendali e regionale sulle Relazioni sulla Performance documentano un mondo quasi meraviglioso in cui la maggioranza dei dirigenti e degli operatori “prende 100” (specie in area amministrativa). Anche a naso si capisce che c’è qualcosa che non va.
Il problema forse è in quel “chi valuta la valutazione e come” oggetto di
un post di Cesare Cislaghi nel blog di Epidemiologia e Prevenzione. Una valutazione che non riconosce le criticità nelle performance ai vari livelli costituisce un solido alleato della selezione che non riconosce le competenze. Forse una soluzione ci sarebbe. Perché non trasformare o utilizzare le Agenzie Regionali Sanitarie come organismo “terzo” che valuta (e quindi di fatto orienta) le modalità di valutazione a livello aziendale? E perché non fare la stessa cosa a livello centrale con l’Agenzia per i Servzi Sanitari Regionali rispetto alle performance regionali e alla loro valutazione?
E’ ovvio che alla base di un processo di questo tipo (che qui viene in modo molto semplificato proposto come spunto di riflessione) c’è a sua volta il problema della selezione dei dirigenti delle Agenzie. Adesso sono spesso terreno di conquista a loro volta della politica. Nel nuovo ipotetico assetto non potrebbe essere più così.
Nel dibattuto su centralismo e regionalismo una cosa mi pare chiara: qualunque livello e forma di regionalismo si deve confrontare con una forte capacità centrale di presidiare (e quindi valutare) le performance regionali. Centralizzare in qualche modo il sistema di valutazione centrandolo sulla rete delle Agenzie Sanitarie Regionali potrebbe essere sensato. Se poi il ricordo dell’uomo Del Monte ci piace …
Claudio Maffei
Medico in pensione già Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera Umberto I di Ancona, della ASL 3 di Fano e dell'IRCCS INRCA di Ancona