22 marzo -
Gentile direttore,
francamente non comprendo la posizione delle rappresentanze private degli osteopati che in sede ministeriale avrebbero rinunciato a quanto essi per primi dovrebbero garantire proprio in relazione alle competenze univoche dei loro associati. Un obbligo formale, il loro, da riferirsi alle convenzioni internazionali da essi sottoscritte in seno all'EFFO (Federazione europea degli osteopati) e in approvazione delle norme di standardizzazione comunitarie condivise e divulgate (CEN 16686:2016).
A conferma di questa marchiana contraddizione sconcertano le dichiarazioni del Sig.
Carlo Broggini, presidente APO, espresse in questa sede in evidente riferimento anche ad altri rappresentanti della categoria (ROI, etc.). Egli, che ha stigmatizzato come "ipocrita" la legittima critica dei contrari al corso di studi triennale nella disciplina, pare soprattutto ignorare lo Statuto della sua stessa associazione (
http://www.associazioneosteopati.it/upload/Statuto.pdf). Nel testo pubblicato on line si legge infatti all'art. 8.2. che i soci devono aver completato la formazione prevista nei due ordinamenti a tempo pieno (almeno 5 anni per 4200 ore) e a tempo parziale per altrettanti 5 anni. Mentre all'art. 18.3 si evidenzia che in caso di mancanza di questo specifico requisito il candidato socio risulti addirittura" non idoneo ad essere ammesso all'associazione".
Chiedendomi chi più di altri dimostri ipocrisia in questa circostanza, leggo anche all'art. 3.17 che obiettivo fondamentale dell'associazione presieduta dal Broggini sia "uniformarsi alle regole e ai criteri internazionali per la corretta gestione delle attività associative". Lo stesso signore che si firma "Osteopata DO Bsc. Ost. (hons) UK" e definisce inappropriata e bizzarra la definizione di "ex vicepresidente" del collega dimissionario, non chiarisce se insieme ai colleghi delle altre associazioni si siano confusi mentre votavano la norma CEN, oppure mentre accettavano i corsi di soli tre anni per i nuovi professionisti sanitari. Non capiamo neppure se essi abbiano smesso di condividere i rapporti O.M.S. sul tema o, peggio, se abbiano deciso di non riferisi ai loro Statuti che, di norma, dovrebbero garantire trasparenza e legalità associativa.
Non può stupire, di conseguenza, che questa grave manifestazione di inattendibilità si associ alla difficoltà nel cogliere la gravità delle indicazioni alle scuole autoreferenziali di osteopatia, come inviate dal Presidente dell'Albo dei TSRM delle professioni sanitarie TRP a descrizione della legalità pedagogica e dell'equipollenza del titolo di studio come criterio abilitante essenziale. Nè, tanto meno, possiamo sperare che venga colto il senso del nesso temporale tra la dichiarazione dell'accordo raggiunto per l'osteopatia, mediante risposta ad interrogazione parlamentare, e l'inoltro immediatamente successivo dell'invito alla chiarezza sull'attuale incertezza pedagogica "per evitare futuri contenziosi".
Pertanto, se questi sono i primi risultati del "massimo impegno e sforzo con cui la nostra professione possa ambire al miglior riconoscimento realisticamente possibile" non resta che citare Esopo riconoscendo che la montagna ha partorito un topolino come incentivo a trarre personalmente le conclusioni più onorevoli e utili per tutti. Parturient montes, nascetur ridiculus mus.
Michela Podestà
Osteopata italiana, ex socia APO