26 febbraio -
Gentile Direttore,
abbiamo letto
l’articolo scritto dal Dott. Banfi, illustre funzionario della Regione Toscana, sulla questione dello “switch non medico”, come viene definita dalla comunità medico-scientifica internazionale la pratica della sostituzione di un farmaco con un altro soltanto per motivi economici e non clinici. Come Società Scientifica abbiamo assistito con perplessità al tentativo, fatto nell’articolo del Dott. Banfi, di ridefinire (travisare?) la pratica della “continuità terapeutica” come “prendersi cura del paziente garantendogli una terapia che, come ci insegnano i farmacologi, non ha un nome registrato, ma ha il nome di una molecola e questo rappresenta un linguaggio universale”.
La esclusione volutamente effettuata del Medico prescrittore, che nella “visione” del Dott. Banfi viene sostituito dal farmacologo anche nella funzione prescrittiva,e l’enfasi posta sul fatto che biologici e biosimilari condividano lo stesso nome non proprietario ci ha portato, con preoccupazione, a rileggere il Secondo Position Paper Aifa per cercare un passaggio che facesse pensare ad una visione, si passi il termine, “genericista”. Ed invece abbiamo notato che la posizione di Aifa non è cambiata: i medicinali sintetizzati per via biotecnologica differiscono dalle sostanze attive sintetizzate tramite metodiche di chimica farmaceutica tradizionale per molti aspetti che qui sarebbe troppo lungo richiamare, ma che contribuiscono a determinare l’unicità del prodotto, al punto da concludere che “Il processo di produzione di tali farmaci è talmente caratterizzante che si può affermare che il prodotto è il processo di produzione”.
Naturalmente nel valutare l’identità dei processi produttivi appare del tutto fuori luogo scotomizzare il fatto che nel processo produttivo vanno sempre inclusi i cosiddetti “input di produzione”che nel caso dei biotecnologici sono costituiti dalle banche geniche che sono inevitabilmente diverse nei biosimilari rispetto ai prodotti “Brand”, perché diversa è la procedura di produzione. Pretendere di confondere i biosimilari con i farmaci generici è un falso scientifico. I biosimilari differiscono in maniera più evidente di quanto non accada nelle differenze batch-to-batch (altro che “i biologici sono i biosimilari di sé stessi”!) nella componente glicidica che ha una fondamentale importanza nella regolazione non anticorpale degli effetti farmacologici della infusione di immunoglobuline.
I dati sono così importanti che da tempo si è costituita una specifica branca della bio farmacologia che prende il nome di Glicosciencesupportata da articoli pubblicati su riviste internazionali specializzate nel settore. In un corretto inquadramento della delicatissima gestione di questi farmaci, non si può non ricordare che sia FDA sia EMA hanno definito i principi farmacologici che distinguono i farmaci generici dai biosimilari e i criteri che consentono di individuare i farmaci equivalenti terapeutici distinguendoli dalle alternative terapeutiche cui più propriamente appartengono i farmaci biosimilari1, dovendosi (come sempre ribadito in tutti i documenti AIFA) attendere la valutazione del medico per procedere al trattamento. 1Approved Drug Products With Therapeutic Equivalence Evaluations. 23rd ed. 2003. FDA/CDER Web site. Available at: http://www.fda.gov/cder/ob/docs/preface/ecpreface.htm#Therapeutic Equivalence-Related Terms. NOTE FOR GUIDANCE ON THE INVESTIGATION OF BIOAVAILABILITY AND BIOEQUIVALENCE Ref.: CPMP/EWP/QWP/1401/98 London, 14 Dec. 2000.
L’idea di una bioequivalenza “a la carte” ritagliata sulle necessità di bilancio (di cassa) di ogni assessorato in difficoltà costituisce una pericolosissima violenza fatta alla sicurezza dei cittadini. Ferma restando quindi l’ampia apertura di utilizzo nel paziente naive, per il paziente con malattia reumatica già adeguatamente trattato con farmaco biotecnologico, il difficile e complesso equilibrio tra specifico farmaco – originator o biosimilare che sia – e lo specifico paziente resta il riferimento clinico, deontologico e legale all’interno del quale inquadrare il tema dell’intercambiabilità. La continuità terapeutica discende dal diritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione (art. 32), come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Ne deriva che ogni individuo ha il diritto di proseguire la terapia iniziata con successo e con apprezzabile stabilizzazione del quadro clinico. Tale diritto, deve essere garantito dal sistema sanitario attraverso il rispetto della libertà prescrittiva del medico, il quale adotta scelte terapeutiche, secondo scienza e coscienza, nell’esclusivo interesse del paziente.
La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 169/2017,stabilisce che: •non si può pregiudicare la prerogativa di operare secondo “scienza e coscienza”; •non è ammissibile un sindacato politico o meramente finanziario sulle prescrizioni mediche; •le previsioni normative non possono precludere al medico la possibilità di valutare, il singolo caso concreto; •la vigilanza e l’eventuale applicazione di sanzioni al medico non possono essere ispirate ad obiettivi di risparmio della spesa sanitaria, ma, al contrario, devono essere dirette alla tutela del paziente e del Ssn. Allo stesso modo, la Legge di Bilancio 2017 garantisce la continuità terapeutica con riguardo alle prescrizioni di farmaci biologici. Perché è necessario fare queste puntualizzazioni? Perché, come evidenziato in un recente paper e nella posizione ufficialmente espressa sull’argomento dalla “World Medica Association”, che riunisce tutti gli ordini dei medici del mondo “Il rischio che si profila è che, complici le sempre più incombenti necessità di contenimento della spesa pubblica, le valutazioni di ordine tecnico/scientifico che dovrebbero orientare l’azione del legislatore, dell’AIFA e delle regioni finiscano per prediligere le esigenze finanziarie a quelle cliniche, pregiudicando così l’autonomia e la libertà dei medici, con effetti discutibili sia dal punto di vista degli obiettivi di contenimento della spesa sia, a maggior ragione, dal punto di vista della tutela della salute collettiva.
Direttori generali e medici, in alcuni casi, potrebbero trovarsi a dovere dirimere un vero e proprio conflitto di interessi:da una parte, il loro dovere di operatori sanitari, il cui obiettivo è la tutela della salute dei loro pazienti; dall’altra, l’esigenza di assumere decisioni di carattere medico non sulla base delle esigenze di natura clinica, ma bensì secondo criteri economici, la mancata aderenza ai quali possa rischiare di compromettere perfino il loro stipendio o la loro carriera.” Ma quello che più conta è che a rischio è la stessa relazione medico-paziente e la fiducia che il secondo ripone nel primo. Quella fiducia che ancora oggi resiste in un medico garante dell’interesse del paziente (GUIDELINE ON THE INVESTIGATION OF BIOEQUIVALENCE Doc. Ref.: CPMP/EWP/QWP/1401/98 Rev. 1 London, 20 January 20102http://www.brunoleonimedia.it/public/BP/IBL_BP_169-Biosimilari.pdf) anche nei confronti del Servizio sanitario. Come evidenziato dal Presidente di FNOMCeO3, da una recente indagine del CENSIS “esce sconfitta la visione burocratica della professione medica, imbrigliata da lacci e lacciuoli, da linee guida e protocolli, intesi non come raccomandazioni, ma come vincoli. Emergono invece, prepotenti e vincenti, i principi fondamentali di libertà, autonomia e indipendenza, scritti nel nostro codice deontologico”. Vorremmo che tutto questo non fosse compromesso.
Esempi positivi, fortunatamente, non mancano. È il caso della Regione Campania, dove il Dr. Trama, confrontandosi anche con medici e associazioni pazienti in ambito reumatologico, ha riconosciuto che i medici sono (sempre stati!) pronti a contribuire responsabilmente alla sostenibilità del sistema, senza sacrificare in alcun modo la salute dei pazienti e senza essere assoggettati a vessazioni di tipo burocratico che hanno il solo scopo di svuotare, di fatto, l’autonomia prescrittiva in scienza e coscienza.
Luigi Sinigaglia
Presidente SIR
Mauro Galeazzi
Past President SIR
Giovanni Lapadula
Presidente GISEA