18 gennaio -
Gentile direttore,
in merito all’articolo ‘
Dentista rifiuta di curare paziente Hiv positivo. Grillo: ‘Inaccettabile’. Ma l’Andi difende il collega: “Lo studio privato poteva non essere attrezzato, non è un ambulatorio”’, nel quale si segnalava il respingimento di una persona hiv+ da parte di uno studio medico odontoiatrico privato di Roma proprio a causa della condizione sierologica, e alla successiva replica di ANDI (Associazione Nazionale Dentisti Italiani) ci sono delle precisazioni che desideriamo esplicitare.
Spiace constatare che quanto enunciato da ANDI non trovi corrispondenza nella realtà: gli stessi operatori che afferiscono al Servizio Sanitario Nazionale sono a conoscenza di pratiche in uso nel sistema privato, che comprendono domande sullo stato sierologico dalla cui risposta può dipendere il rifiuto alle cure.
A ciò si aggiunge il diffuso atteggiamento, in caso di accettazione, di dare appuntamenti solo in chiusura di giornata per immotivati “motivi igienici”. Immotivati perché se le linee guida per il corretto ricondizionamento dello strumento non monouso fossero rispettare, questo tipo di argomentazione non avrebbe alcuna ragione di esistere. Diverso è ovviamente il discorso nel caso in cui le linee guida non vengano rispettate – e ci sono evidenza che testimoniano come spesso accada - ma va da sé che in questo caso è sul professionista in questione che si deve agire, non certo sulla persona che si vede negato il diritto alla cura.
Va tutelato il diritto delle persone con hiv di comunicare al medico in questione la propria condizione sierologica affinché venga tutelata la sua salute in caso di interazioni farmacologiche con gli Arv e i farmaci necessari in casi di terapie specifiche e urgenti.
Ciò assume ancor più rilevanza nel momento in cui si assume il postulato che molte persone potrebbero non conoscere la loro sieropositività, o non dichiarala, e andrebbe dunque capito come i medici si pongono di fronte a questo rischio, rischio che, come già enunciato, non si dovrebbe porre se si seguissero le buone pratiche.
Inoltre in merito all’anamnesi va ribadito e sottolineato che l’anamnesi prevede un diretto contatto tra medico e paziente nel rispetto della privacy, non la compilazione di un questionario a crocette spesso consegnato a impiegati che gestiscono la segreteria.
Una legge, la 135/90, tutela la privacy delle persone con hiv/AIDS, dovremmo ricordarlo.
Auspichiamo che il presidente ANDI assuma quanto esposto, e attui le necessarie verifiche e, laddove necessario, le necessarie azioni per far sì che il diritto universale alle cure, venga garantito.
Dr.ssa Antonella Sparaco
Direttore U.O. Odontoiatria ASST - Fatebenefratelli Sacco, Milano
Dr.ssa Margherita Errico
Presidente Nps Italia Onlus
Dr.ssa Gabriella Gavazzeni
Presidente ANLAIDS Lombardia