11 gennaio -
Gentile Direttore,
le scrivo in riferimento all’articolo del
Professor Cavicchi del 2 gennaio scorso. Sono un’infermiera di corsia e aggiungo solo qualche riflessione su quanto vivo ogni giorno. La tendenza delle regioni ad accentrare potere potrebbe portare all’impoverimento del diritto alla sanità per gli abitanti delle regioni con meno risorse disponibili, ma anche ad un cospicuo aumento del turismo sanitario.
Evinco una volontà politica nel mantenere lo status quo e nel voler presentare come riforme risolutive delle mere variazioni non strutturali e oltremodo lontane da un vero ripensamento ontologico della Sanità; coloro i quali agiscono la sanità, come il Professor Cavicchi spiega da decenni, continuano a non essere considerati autori, ma solo un veicolo di erogazione sanitaria.
Gli OSS sono eredi dei problemi degli infermieri, quali il mancato riconoscimento sociale e una mole di lavoro difficilmente gestibile; si ignora completamente la loro importanza strutturale e sono utilizzati come goffo approccio risolutivo all’ imperdonabile demansionamento che affligge gli infermieri.
Anche i tavoli permanenti di confronto separati confermano la volontà di mantenere lo status quo, ben distante dal pensiero che gli attori della sanità sono autori, uniti nel fine comune di essere di ausilio al malato; ravviso , invece, una divisione tra le professioni sanitarie che rasenta il corporativismo e allontana la prospettiva dell’integrazione; si è ancora lontani da una presa di coscienza collettiva e dalla necessaria reciprocità che un tavolo unico delle professioni sanitarie comporterebbe.
Le competenze avanzate degli infermieri non faranno che perpetuare il ruolo esecutore di un infermiere invariato, svilendone ulteriormente la professionalità: noi siamo vicini alla persona e non vogliamo essere dei mini medici, perché non vogliamo essere noi i professionisti della patologia.
Le competenze avanzate porteranno solo alla divisione tra infermieri di serie a e infermieri di serie b, esattamente come già accaduto con la dirigenza infermieristica, che ha identificato una piccola elite, senza ripercussione alcuna sulla massa degli infermieri che, invariata, è operativa nelle corsie, troppo spesso intrappolata in compiti e routine, senza la necessaria autonomia e responsabilità sulle scelte da intraprendere accanto al malato.
Le cosiddette possibilità evolutive coinvolgono una nicchia di infermieri, lasciando la massa invariata, gravata di lavoro, senza coinvolgimento alcuno nelle decisioni che ci riguardano, deprivata di qualsiasi risonanza sociale. Non mi interessa accrescere le mie competenze tecnico scientifiche e non contendo il ruolo ai medici, ai quali posso e voglio offrire il mio sguardo e tutto quello che del malato so, perché è con il mio assistere che ne comprendo la complessità ed elaboro risposte.
Simona Sallusti
Infermiera –San Giovanni Addolorata (Roma)