15 novembre -
Gentile direttore,
mi permetto di intervenire sulle recenti polemiche riguardanti il pronto soccorso in quanto partecipante al tavolo ministeriale che fra il 2013 e il 2014 ha elaborato
i tre documenti anticipati dagli organi di stampa. Siccome ho letto molte cose inesatte credo sia opportuno proporre la versione di un testimone diretto.
1) Nel giugno 2014 il gruppo di lavoro costituito da rappresentanti delle società scientifiche dell’emergenza (comprese le figure infermieristiche), rappresentanti delle regioni e dirigenti del ministero e di Agenas, ha licenziato dopo un lavoro di circa 18 mesi tre documenti: la bozza delle prime Linee Guida dell’OBI, la bozza delle nuove linee guida sul triage (attualmente sono in vigore quelle emanate nel 2001) e un documento per affrontare il problema del superaffollamento dei Ps.
2) Tutti i membri del gruppo di lavoro si sono lasciati con l’obbligo della riservatezza circa il contenuto dei 3 documenti
3) Nel 2016 le nuove linee guida sul triage sono state anticipate da vari organi di stampa
4) I documenti sono stati già valutati nei mesi scorsi dalla Commissione Stato-Regioni
5) Il documento sull’affollamento del Ps intende proporre una serie di proposte operative per diminuire il tempo di permanenza in barella nei Ps dei pazienti per i quali già è stata identificata la necessità di ricovero. Non esiste una ricetta miracolosa ma si sottolinea la rivoluzione culturale di far comprendere che è un problema che coinvolge tutto l’ospedale e non solo il DEA e quindi tutto l’ospedale deve esser coinvolto
6) Il documento sull’OBI va a colmare un vuoto normativo nazionale sull’utilizzo dell’OBI, di cui al contrario esiste una vasta produzione regionale, spesso non omogenea e non coerente
7) Le nuove linee guida sul triage nascono da una precisa richiesta degli operatori (vedi Monitor n.29,2012), che ormai dopo tanti anni hanno ben chiaro limiti e punti di forza della normativa del 2001. Il passaggio a 5 livelli è mosso sostanzialmente da due motivi fondamentali: acquisire la classificazione dei più avanzati sistemi mondiali (canadese, australiano, il Manchester inglese e l’ESI americano) e soprattutto perché è noto a tutti gli operatori che ogni giorno fanno triage che il 60-70 % degli accessi è etichettato in tutta Italia come verde e dentro questo mare magnum si possono celare anche patologie importanti. Non a caso è assolutamente congruo che dal codice verde vengano prodotti fra il 7 ed il 12 % di ricoveri, come è altrettanto noto che i contenziosi medico legali e le condanne ad infermieri per omicidio colposo siano quasi sempre legati ai codici verdi
8) Il superamento dei colori vuole porre con forza il concetto che il codice di triage vale (come indicatore di priorità e non di gravità) dalla sala di attesa alla sala visita; poi comincia un'altra storia. Non è giusto che il paziente si porti appresso come un marchio il codice di entrata. Il sistema canadese e l’ESI americano non hanno codice colore ma solo numerico
9) Il triage non è solo “il semaforo che governa la sala d’attesa” ma è il luogo da cui professionisti esperti e formati fanno partire dei percorsi per le patologie tempodipendenti o per le basse priorità (con il fast track o il see and treat), ed è il luogo in cui spesso comincia un percorso diagnostico (esami ematici, elettrocardiogramma, EGA) e che verrà valorizzato nel futuro flusso EMUR .
10) I tempi esplicitati per l’attesa per codice sono sicuramente indicativi di una situazione “normale” con le giuste risorse umane e logistiche; è ovvio che riducendo i box visita per la carenza di medici ed infermieri questi target non saranno neanche sfiorati
Beniamino Susi
Direttore UOC Medicina d'Urgenza Policlinico Tor Vergata