2 novembre -
Gentile Direttore,
hanno ragione i sindacati
CGIL,CISL, UIL e
FIALS a richiedere l’apertura di un tavolo interistituzionale per intervenire con urgenza per la giusta interpretazione della normativa che ha stabilito l’equipollenza dei precedenti titoli ai nuovi titoli universitari per gli esercenti le professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione di cui alle leggi 42/99, 251/00 e 43/06 che pur in attività sia in regime di lavoro dipendente o autonomo con l’entrata in vigore della legge 3/18 e dei decreti attuativi tra i quali l’istituzione del nuovo ordine ultrapluriprofessionale rischiano di vedersi negata l’iscrizione al rispettivo albo professionale con il pericolo reale non solo della denuncia di esercizio abusivo di professione sanitaria ma anche il licenziamento, o il demansionamento e se autonomi la perdita dell’attività professionale e del conseguente reddito.
Una grande vittoria quale la conquista perseguita da decenni dell’istituzione ordinistica per diciassette professioni sanitarie che ne erano prive, anche se regolamentate rischia per una parte, non ancora quantificabile, una tragedia personale e familiare, solo per un’interpretazione riduttiva se non errata della legge 42/99.
L’articolo 4 della legge 42/99 era nell’intenzione del legislatore una norma ultragarantista che avrebbe dovuto garantire la transizione senza alcun trauma dal vecchio regime al nuovo infatti prevedeva:
“(
Diplomi conseguiti in base alla normativa anteriore a quella di attuazione dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni).
1. Fermo restando quanto previsto dal decreto-legge 13 settembre 1996, n. 475, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 novembre 1996, n. 573, per le professioni di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, ai fini dell'esercizio professionale e dell'accesso alla formazione post-base, i diplomi e gli attestati conseguiti in base alla precedente normativa, che abbiano permesso l'iscrizione ai relativi albi professionali o l'attività professionale in regime di lavoro dipendente o autonomo o che siano previsti dalla normativa concorsuale del personale del Servizio sanitario nazionale o degli altri comparti del settore pubblico, sono equipollenti ai diplomi universitari di cui al citato articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni ed integrazioni, ai fini dell'esercizio professionale e dell'accesso alla formazione post-base.
2. Con decreto del Ministro della sanità, d'intesa con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sono stabiliti, con riferimento alla iscrizione nei ruoli nominativi regionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, allo stato giuridico dei dipendenti degli altri comparti del settore pubblico e privato e alla qualità e durata dei corsi e, se del caso, al possesso di una pluriennale esperienza professionale, i criteri e le modalità per riconoscere come equivalenti ai diplomi universitari, di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni e integrazioni, ai fini dell'esercizio professionale e dell'accesso alla formazione post-base, ulteriori titoli conseguiti conformemente all'ordinamento in vigore anteriormente all'emanazione dei decreti di individuazione dei profili professionali. I criteri e le modalità definiti dal decreto di cui al presente comma possono prevedere anche la partecipazione ad appositi corsi di riqualificazione professionale, con lo svolgimento di un esame finale. Le disposizioni previste dal presente comma non comportano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato né degli enti di cui agli articoli 25 e 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.
3. Il decreto di cui al comma 2 è emanato, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
4. In fase di prima applicazione, il decreto di cui al comma 2 stabilisce i requisiti per la valutazione dei titoli di formazione conseguiti presso enti pubblici o privati, italiani o stranieri, ai fini dell'esercizio professionale e dell'accesso alla formazione post-base per i profili professionali di nuova istituzione ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni.”
E’ una norma che non avrebbe dovuto avere non solo alcun dubbio né un altro atto amministrativo, quale, ad esempio, i decreti di equipollenza non previsti dalla norma stessa bensì la semplice verifica che l’esercizio dell’attività professionale sia in regime di lavoro dipendente o autonomo fosse avvenuto sulla base della normativa vigente, altrettanto dicasi per l’equivalenza di cui al secondo comma, interpretata riduttivamente sia nelle decorrenze che nei requisiti.
Quindi l’unico adempimento da verificare era ed è quello con il quale sia stato iniziato il rapporto di lavoro della lavoratrice o del lavoratore come dipendente pubblico o privato o come libero professionista sulla base del titolo culturale previsto dalla normativa allora vigente, tutto qui e null’altro.
E’ bene tener conto che il fenomeno riguardano lavoratrici e lavoratori che esercitano da decenni la loro professione valutati nella loro organizzazione del lavoro sanitario positivamente e proficuamente e quasi al termine della loro attività lavorativa, dovrebbero essere degradati, demansionati se non licenziati solo per una interpretazione riduttiva della norma primaria, ma che scherziamo?
E’ auspicabile che Stato e Regioni intervengano per individuare e attuare la giusta e corretta soluzione, concertandola sia con i Sindacati che con il nuovo Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione il quale, apprezzando l’intervento sindacale ha manifestato la sua disponibilità alla ricerca di una soluzione positiva.
Tornare indietro su decisioni già prese, rivedendole se errate, non è ammissione di colpa ma manifestazione di saggezza.
Vito De Filippo
Capogruppo PD Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati