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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Lettere al Direttore

Caso Pizza/Venturi. Non abbiate paura degli infermieri

di Massimo Pigliacampo
22 ottobre - Gentile Direttore,
la presa di posizione assunta dal Dott. Pizza, presidente dell’ordine dei medici di Bologna, che ha aperto un procedimento disciplinare contro l’assessore Venturi in merito alle indicazioni date dallo stesso alle Aziende sanitarie sulla composizione e competenze del personale sanitario sulle ambulanze, in qualità di assessore e non di medico, è l’ultimo, e non meno importante, attacco che viene fatto alla figura dell’infermiere di emergenza ed urgenza.
 
Non voglio entrare nel merito della questione riguardo a ciò che deve essere contraddistinto tra deontologia e scelte politiche, sicuramente altri professionisti ben più preparati e competenti dello scrivente avranno da fare delle considerazioni; voglio invece entrare nel merito del discorso ponendomi, e ponendole una domanda : “Perché avere paura degli infermieri sulle ambulanze?”

La prima legge che prevedeva infermieri sulle ambulanze, è quella costitutiva del sistema di emergenza territoriale: il DPR 27 Marzo del 1992 (ventisei anni fa). Attraverso l“Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza”, oltre a prevedere l’istituzione del numero di emergenza sanitaria 1-1-8, si sono previste le tipologie di ambulanze da impegnare sul territorio (equipaggi base, medicalizzati, infermieristici). In questo decreto, l’articolo 10 era dedicato all’infermiere allora professionale: “Il personale infermieristico professionale, nello svolgimento del servizio di emergenza, può essere autorizzato a praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi, nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”.

In rapporto all’evoluzione formativa e professionale dell’infermiere che da lì a poco sarebbe esplosa, questo decreto presidenziale rappresentava un punto di partenza veramente rivoluzionario ma di assoluta necessità per far sì che il sistema dell’emergenza pre-ospedaliera avesse come punto cardine e imprescindibile la figura dell’infermiere.

Nel frattempo la nostra professione è cresciuta in maniera esponenziale, ha reso accademica la propria formazione, ha abbandonato il mansionario, si è resa garante dei diritti del cittadino e si è dichiarata responsabile per la propria attività garantendo inoltre la correttezza della somministrazione delle terapie prescritte dal medico.

Il punto focale della discussione che è incriminato da molti, ma sostenuto da tutti quelli che lavorano in emergenza è questo: la somministrazione in autonomia dei farmaci da parte dell’infermiere.

Tecnicamente l’infermiere somministra delle terapie che dal punto di vista formale sono già state prescritte e validate dai protocolli firmati dal direttore di centrale e, per la maggior parte delle volte, riconosciuti e adottati anche in ambito internazionale. Tali protocolli, che come abbiamo visto sono previsti addirittura dal tempo in cui l’infermiere era l’ausiliario del medico, non danno indicazione d’interpretazione soggettiva: prevedono somministrazione di farmaci solamente a seguito di riscontro di segni e sintomi oggettivi, rilevabili e certificabili dall’infermiere stesso.

Tale tipologia di protocollo per la somministrazione della terapia esiste anche nei reparti: la cosiddetta “terapia al bisogno”. Di notte, quando il medico non è presente in struttura o sta nella propria stanza a studiare o aggiornarsi, l’infermiere ad esempio può somministrare ansiolitici, antidolorifici o altri farmaci senza chiedere l’autorizzazione al collega medico, purché gli stessi siano prescritti in un apposito riquadro presente in cartella clinica. Stranamente, questa modalità di somministrazione in autonomia non fa sorgere alcun dubbio riguardo all’abuso di professione al dott. Pizza.

A mio avviso, la figura del medico in emergenza è talmente importante che non può essere relegata dentro un'unica ambulanza, perché per forza di cose, potrebbe visitare e, se lo ritenesse opportuno accompagnare in ospedale un paziente alla volta.

Non prendo neanche in considerazione il fatto di rendere tutte o la maggior parte delle ambulanze del territorio “medicalizzate”: sarebbe un dispendio economico ingestibile per le casse delle regioni, soprattutto considerando il fatto che solo nel 2017 prendendo ad esempio le centrali di Firenze e Prato, i codici rossi sono stati solo il 17 % del totale delle chiamate.

Con un medico a bordo di un ambulanza, il mezzo durante le fasi di arrivo sul posto, visita, eventuale rientro in ospedale con il paziente a bordo, non può essere utilizzato dalla centrale operativa per nessun altro evento nella zona. Ponendo il caso che avvenga un arresto cardiaco nell’area di copertura dove opera l’ambulanza medicalizzata, la centrale sarebbe costretta ad inviarne un'altra con medico a bordo avendo due problemi: scoprire l’area di competenza dell’ambulanza di supporto e avere i tempi di arrivo dell’equipaggio Als sul posto ritardati.

Il posto naturale del medico in emergenza è uno: l’automedica. Il posto naturale dell’infermiere è doppio: in automedica e in ambulanza.
Porto ad esempio la realtà lavorativa di Rimini soccorso: Gli equipaggi delle automediche sono formati solo da medico e alla guida un infermiere; tutte le ambulanze di emergenza invece hanno a bordo autista soccorritore ed infermiere.

In uno scenario di codice rosso denominato “mike” (dove è richiesto un medico) , un infortunato è assistito da un medico, due infermieri e un tecnico specializzato del soccorso. Se stabilizzato, l’infortunato può essere ospedalizzato con le indicazioni di terapia date dal medico sul posto ed ha la garanzia di avere al proprio fianco un professionista sanitario laureato, competente e debitamente formato che risponde anche dal punto di vista legale del proprio operato. Il medico è così subito operativo è pronto ad intervenire su un altro codice, ove richiesto, già direttamente partendo dal territorio.
 
A mio avviso, la vera questione da affrontare per crescere, non è se l’infermiere possa lavorare o no in autonomia nelle ambulanze, ma chiedersi il perché si ha una frammentazione così vasta nel territorio italiano. Perché non si cerca di professionalizzare al massimo i mezzi impiegati?

Questo modello organizzativo frammentato a livello regionale sta creando disparità non più eticamente accettabili: non è possibile assistere a scene oggi ancora in essere: un anziano con una sospetta frattura di femore a seconda della regione di residenza, potrebbe arrivare in ospedale con un dolore tenuto sotto controllo perché trattato con un infusione EV di paracetamolo e una provetta a “tempo 0” di emocromo, mentre se cade 10 km più a sud potrebbe essere accompagnato dal proprio macellaio o dal vicino di casa che in quel momento rivestono la figura del “soccorritore volontario”. Dovrà tenersi il proprio dolore ed avrà negata un assistenza da parte di personale competente e soprattutto esercente una professione sanitaria.

Per concludere e spronare chi ancora vede l’infermiere come esecutore materiale di prescrizioni altrui, rivolgo un caloroso appello: Non abbiate paura di noi infermieri! Non facciamo diagnosi mediche, in emergenza la maggior parte delle volte è risolutivo prendere in tempo e trattare segni e sintomi; non vogliamo sostituirci ai medici: vogliamo promuovere il lavoro del team ed operare al meglio per assicurare a tutti la migliore assistenza sanitaria nel più breve tempo possibile. Vogliamo avere la certezza di avere un medico sempre a disposizione lungo la nostra strada qualora ce ne fosse bisogno: sembra strano ma gli interventi su abusi etilici spesso sono codificati in codice rosso.
 
Vogliamo lenire il dolore a chi si è fatto male, trattare un ipoglicemia, vogliamo utilizzare gli stessi farmaci che, da istruttori insegniamo anche ai medici ad utilizzare negli arresti cardiaci (ALS;ACLS), vogliamo essere il collante tra i bisogni del paziente e le criticità meno complesse riscontrate dai medici di medicina generale che possono essere trattate a domicilio.

Vogliamo assicurare a chi ne ha bisogno, di arrivare con il miglior supporto possibile non all’ospedale più vicino, ma a quello più adatto. Vogliamo essere partecipi dell’ottimizzazione dei costi della sanità pubblica: un anziano trattato a casa da un ambulanza con infermiere ad esempio per una sostituzione di emergenza di un catetere vescicale otturato, è una persona che non intasa un pronto soccorso, evita il pericolo di contrarre un’infezione, rimane a casa con i suoi cari e non fa spostare 2 ambulanze: una per l’andata, una per il ritorno.

Confrontiamoci, studiamo le evidenze scientifiche, analizziamo gli outcome degli interventi delle ambulanze con infermieri. Non dimentichiamo la mission individuale di ogni singola professione: il benessere della società tutta.

Dott. Massimo Pigliacampo
Infermiere
Master in medicina ed analisi della responsabilità professionale
22 ottobre 2018
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