6 febbraio -
Gentile Direttore,
i contratti non si rinnovano dal 2009 - a dispetto di una sentenza della Corte Costituzionale che ha ribadito la illegittimità della situazione - e al momento nessun atto di indirizzo è ancora pervenuto formalmente ad Aran affinché possano partire le prime convocazioni (si attende ancora l’atto di indirizzo della Dirigenza Sanitaria mentre per le altre dirigenze non si sa nulla).
In questo quadro di incomprensibile distrazione, è stato invece puntualmente siglato (19 gennaio 2018) il protocollo di intesa per la costituzione del Comitato Paritetico per la rilevazione della rappresentatività sindacale ai fini della stagione contrattuale 2019-21. Vale a dire che si procede disinvoltamente agli adempimenti fisiologici per il rinnovo del contratto 2019-21, senza che sia nemmeno posta in agenda la prima convocazione per la contrattazione 2016-18, ormai sepolta dalla polvere del tempo.
Una situazione paradossale, che tuttavia rende perfettamente l’idea della considerazione in cui è tenuta la Pubblica Amministrazione e in particolare la sua Dirigenza.
Un caso a parte, in quanto riguarda una sottocategoria per oscuri motivi storicamente privata di ogni attenzione, è rappresentato dalla Dirigenza Sanitaria dello Stato e, in particolare, all’interno di essa, dai negletti per eccellenza, assenti da ogni previsione di sistematizzazione, inquadramento, classificazione abbozzata dal legislatore negli ultimi decenni: i medici degli Enti Previdenziali Non Economici (EPNE).
È già un fatto decisamente increscioso che debba persistere, nel 2018, una Dirigenza Sanitaria che a parità di condizioni di reclutamento e di funzioni esercitate, si inquadri in forme contrattuali diverse a seconda che lavori per lo Stato o per il Sistema Sanitario Nazionale.
Che senso ha? Come si concilia questa sperequazione con la richiesta sempre più pressante delle funzioni legislativa ed esecutiva di una prestazione sanitaria integrata, che ne semplifichi e ne ottimizzi la fruizione da parte del cittadino?
Per il medico dipendente pubblico un ordinamento delle forme contrattuali governato da criteri meramente datoriali rappresenta una macroscopica anomalia che complica, invece di semplificare, l’erogazione del servizio e rischia di indebolirne l’efficacia complessiva, stante che l’oggetto di tale prestazione è identico: il bene Salute del cittadino.
Eppure, a questo infelice esito è pervenuto anche il tentativo di omogeneizzazione esperito dalla Riforma Brunetta, ultima di una lunga serie di razionalizzazioni che poco o nulla hanno razionalizzato nella specifica materia.
Tra i medici dipendenti dello Stato, ovvero collocati nel raggruppamento delle Funzioni Centrali, per usare la nomenclatura suggerita dal CCNQ del 13 luglio 2016, quelli che lavorano per gli EPNE e in particolare per Istituti di rilievo cruciale per la Sanità del paese come INAIL e INPS, circa un migliaio in tutto, sono confinati in un’ansa del fiume ove pare scorra pochissima acqua fresca, per usare un’immagine eufemistica.
Il sopra citato CCNQ li situa nell’Area della Dirigenza del raggruppamento delle Funzioni Centrali, appunto, insieme ai colleghi del Ministero della Salute ma, al contrario di questi ultimi, non li cita esplicitamente, quasi fosse sconveniente nominarli: “… professionisti già ricompresi nelle precedenti Aree Dirigenziali” (Art. 7, comma 2).In tal modo li associa a soggetti del tutto disomogenei nel percorso di studi, nella formazione, nell’inquadramento professionale e nelle responsabilità (legali, ingegneri, altri tecnici, eccetera)
A differenza dei più fortunati colleghi del Ssn, inoltre, e nonostante anche una cristallina e mai abrogata norma di legge (l’art. 13 della L. 222 del 1984) ne certifichi inequivocabilmente l’inquadramento assimilabile ai sanitari del Sistema Sanitario Nazionale, per questi dimenticati professionisti della Sanità la qualifica di Dirigenti si è persa misteriosamente nelle sonnolente pieghe della contrattazione collettiva.
Teoricamente sarebbero Dirigenti, inquadrati con i medesimi istituti economici e normativi dei colleghi della Sanità; non lo sono però nella pratica, e tantomeno nel contratto di lavoro. Stazionano in un’Area della Dirigenza del nuovo Ccnq, ma questa qualifica non riesce a compiersi definitivamente ed esplicitamente nei contatti fin qui licenziati.
In questo cronico scenario di indecente emarginazione, si colloca un fatto nuovo, che lo rende ancor più eclatante. Il 22 dicembre scorso, in limine vitae della legislatura, il Parlamento ho approvato, tra molte polemiche e mille emendamenti, il Ddl Lorenzin.
Al suo articolo 17, questo importante atto legislativo sancisce in via definitiva l’inquadramento in un Ruolo Unico della Dirigenza Sanitaria i professionisti sanitari del Ministero della Salute, compagni di viaggio nella medesima Area della Dirigenza proprio dei Medici di Inail e Inps, come abbiamo visto.
Già nel paragrafo introduttivo del comma I si esplicita che la ridefinizione della qualifica dirigenziale di suddetto personale discende dalla necessità di “… assicurare un efficace assolvimento dei compiti primari di tutela della salute affidati al Ministero della salute…”.
Esistono dunque dei compiti primari di tutela del bene salute anche in carico ai medici pubblici dipendenti dello Stato?
È davvero un conforto apprenderlo da fonti ufficiali.
Come è un grande conforto apprendere che per assicurare l’efficace assolvimento di tali compiti è necessario l’inquadramento di tale personale in un Ruolo Dirigenziale unico e l’estensione ad esso degli istituti contrattuali “… previsti dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per le corrispondenti qualifiche del Servizio sanitario nazionale e recepiti nei relativi contratti collettivi nazionali di lavoro”.
Di cosa stupirsi, del resto? Noi lo diciamo da anni. Si tratta del doveroso riconoscimento nella forma di un ruolo e di una funzione già in essere nella sostanza, perché il Ministero della Salute da sempre è un interprete attivo, autorevole e integrato all’interno del sistema di assistenza e cura garantito dalla Sanità regionale.
E allora oggi non è più differibile una questione che si manifesta in tutta la sua solare evidenza: come negare che anche realtà come Inail e Inps interpretino tale ruolo, per missione sociale, articolazione sul territorio, eccellenza nello sviluppo delle competenze specifiche, qualità e quantità delle prestazioni erogate, in un complesso largamente integrato con quello del Sistema Sanitario nazionale?
Si tratta di Istituzioni i cui livelli di embricazione con il Sistema Sanitario Nazionale sono, evidentemente, di tale natura e valenza - investendo il profilo economico-finanziario, quello della prevenzione, cura e tutela della salute su una estesa gamma di articolazioni e sfumature- da rendere arbitraria qualsivoglia operazione di distinzione forzata e rigida dell’uno dall’altro.
Si tratta di Amministrazioni efficienti e performanti, che assolvono sul territorio a una mole colossale di prestazioni sanitarie, spesso indistinguibili da quelle del SSN e sicuramente, comunque e sempre, ad esse complementari.
A tali Amministrazioni è richiesto, a diverso titolo e dai più disparati interlocutori istituzionali, uno sforzo continuo di aggiornamento della prestazione erogata, un ampliamento sistematico della gamma dei servizi offerti al cittadino, nell’ottica di una tutela sempre più accurata e completa della sua salute.
Agli operatori sanitari di tali amministrazioni, che ogni giorno ne consentono l’attività, è richiesta la medesima professionalità e le stesse responsabilità dei professionisti di pari ruolo del Ssn e dello Stato, come peraltro ribadito anche dalla recente legge 24/2017.
Lo sa il Legislatore che l’Inail dispone di centinaia di ambulatori accreditati, capillarmente disposti sul territorio nazionale, che erogano prestazioni sanitarie dirette al cittadino, vicariando il Ssn?
Lo sa il legislatore che l’Inps è presente su ogni territorio per garantire il servizio di verifica della certificazione di malattia dei lavoratori dipendenti e il funzionamento delle commissioni per il riconoscimento della invalidità civile e della condizione di handicap, in ogni Asl del paese?
Come si può immaginare che i medici impegnati in questi servizi per i cittadini abbiano inquadramenti e contrattualizzazioni diverse dai colleghi del Ssn al fianco dei quali ogni giorno si trovano? Perché perseverare in una paradossale disomogeneità di inquadramento?
La imminente occasione contrattuale non può concedersi di ignorare ancora una volta queste incongruente ed ingiusta difformità anche in virtù delle nuove e diverse previsioni che la sottendono; essa deve quindi, di necessità, essere l’occasione definitiva per affrontare la troppo a lungo ignorata “questione della dirigenza medica Epne” e a tale questione deve dare una risposta chiara di equità.
Norma Zama
Segretario Nazionale Associazione Nazionale Medici Inail (Anmi)