25 novembre -
Gentile Direttore,
la recente polemica tra
Benci e
Cavicchi mi ha spinto a fare alcune considerazioni. Si vede che il giurista Benci non ha mai avuto la possibilità di confrontarsi, nella vita reale, con un modello informativo di consenso informato: provi ad esempio a seguire i lavori di un Comitato Etico e approfondire la valutazione degli studi proposti. Si tratta di “somministrare” al paziente un libello di decine e decine di pagine, talmente fitte, circostanziate e tecniche che lo stesso medico curante fatica a seguirne il filo logico. E poi c’è la modulistica accessoria per il medico di medicina generale, per i sottostudi, per l’aspetto genetico e biologico, per la privacy e, come dicono gli inglesi, much more..
Personalmente sono arrivato a contare 48 pagine di fogli informativi per l’acquisizione di un consenso informato. Siamo proprio sicuri che un paziente lo legga e lo comprenda? Siamo proprio sicuri che il medico curante si prenda il tempo e la briga di leggerlo insieme al paziente e, nel caso, di spiegarglielo?
Anche al di fuori delle sperimentazioni cliniche, nella normale pratica medica, è invece importante che la il modulo informativo citi anche la più recondita e imprevedibile possibilità legato al trattamento medico-chirurgico.
Voglio dire che, nel caso in cui capiti un evento avverso, la prima preoccupazione della struttura sanitaria è quella di rivalutare il modulo informativo ed eventualmente modificarlo inserendo, tra tutte le possibili complicanze, anche quella, imprevista ed imprevedibile, che si è appena verificata.
Poi la modulistica viene vistata dall’Ufficio Qualità, dal Medico Legale, dato che maggiore è il numero delle firme, più diluita è la responsabilità. Ormai il consenso informato è divenuto una forma feroce di medicina difensiva ed esistono “specialisti” che hanno fatto del consenso informato una vera e propria professione.
Se è pur vero che dalla Convenzione di Oviedo in poi il rapporto medico-paziente si è modificato, coinvolgendo giustamente il paziente nelle decisioni cliniche che lo riguardano, è altrettanto vero che l’introduzione del “consenso informato” ha, nel corso degli anni, determinato la nascita di una (sub)cultura di tipo amministrativo che di fatto ha burocratizzato sempre di più il rapporto medico-paziente, annullando nei fatti la rivoluzione che la messa in discussione del principio di beneficenza sembrava promettere.
Non si tratta di essere contro Benci o a favore di Cavicchi, e neppure di ri-considerare l’importanza dell’evoluzione del rapporto medico-paziente. Si tratta invece di constatare cosa è diventato il consenso informato: da una parte un preoccupante elemento di burocratizzazione della medicina e uno scarico di responsabilità medica, dall’altro lato l’occasione con la quale persone del tutto estranee alla medicina hanno trovato uno sbocco concreto alla loro professionalità, insegnando al medico a svolgere la sua professione.
Dott. Pietro Cavalli
Servizio di Genetica ASST-Cremona
Comitato Etico AUSL Piacenza