21 settembre -
Gentile Direttore,
la legge 24/2017 sulla sicurezza delle cure e la responsabilità professionale rilancia con l’art. 10 il ruolo del sistema assicurativo per la copertura dei rischi da responsabilità civile terzi nel servizio sanitario nazionale. Si è trattato di un atto dovuto stante la necessità di garantire a livello nazionale il giusto risarcimento ai cittadini vittima di incidenti.
Nel contempo la legge ha dato precisi indirizzi organizzativi per contenere e controllare il rischio (istituzione dei centri regionali per la gestione del rischio sanitario, introduzione del sistema delle buone pratiche ecc.) riattivando l’interesse per questo ramo di sinistrosità delle compagnie assicurative.
Prima dell’approvazione della norma, il quadro della situazione, come rappresentato da un articolo pubblicato su Mecosan nel 2014, era caratterizzato da servizi sanitari con differenti modelli di copertura del rischio:
- gestione assicurativa, totale copertura del rischio con il premio assicurativo;
- gestione mista, polizze assicurative con una franchigia;
- gestione diretta, autoritenzione del rischio, con la garanzia di un fondo.
La scelta del modello non è sempre avvenuta in modo volontario ma è stata spesso conseguente alla disdetta dei contratti da parte delle compagnie assicurative o alla non disponibilità a coprire i rischi laddove le condizioni di sicurezza del sistema e l’analisi delle riserve non davano sufficienti garanzie.
In questo panorama la mia impressione è che. se il mercato assicurativo poco o nulla ha fatto per acquisire esperienza e competenza nel campo della sicurezza, è perché non sono esistite le condizioni.
La ragione vera è, secondo la mia personale esperienza, che la conoscenza della rischiosità di una struttura sanitaria risiede prevalentemente per non dire esclusivamente nei suoi professionisti e operatori sanitari. Sono loro che conoscono la reale affidabilità e sicurezza delle cure erogate, direi talvolta più dello stesso management aziendale.
La valutazione retrospettiva della sinistrosità, attuata dalle compagnie assicurative sino ad oggi, è una pratica dovuta ma che non garantisce sul futuro. Sono talvolta sufficienti dei cambiamenti organizzativi o scelte di personale non basate sul merito per aumentare il livello di rischio.
Va anche detto che le compagnie pur avendo al loro interno esperti in scienze attuariali in grado di stimare il rischio economico non hanno mai avuto esperti in grado di valutare il rischio clinico. Ma, anche se li avessero avuti, non credo che sarebbero stati in grado di entrare più di tanto nel merito della rischiosità della pratica clinica.
Riguardo all’autoritenzione ha molti aspetti positivi ma anche punti di debolezza.
Sicuramente ha migliorato il rapporto di fiducia con i danneggiati attraverso un contatto diretto e la riduzione dei tempi di gestione e definizione delle richieste di risarcimento.
Ha determinato una maggiore consapevolezza e capacità nella gestione del rischio clinico e tenuta della documentazione e controllo e consapevolezza sui costi.
Ha inoltre favorito l’acquisizione di conoscenze e capacità relative alla liquidazione dei sinistri da parte degli operatori amministrativi anche attraverso un approccio multidisciplinare e di confronto di esperienze aziendali.
Ha infine determinato una maggior equità di trattamento degli operatori rispetto alla Corte dei Conti alla quale si era tenuti a segnalare solo i sinistri risarciti con la franchigia ed era quindi del tutto casuale che il sinistro potesse essere risarcito in franchigia o coperto dal premio.
All’opposto, il sistema di autoritenzione ha mostrato anche dei punti di debolezza.
Il più grave è l’averlo introdotto solo per ragioni di cassa in strutture sanitarie prive di un sistema di gestione del rischio clinico; non avere introdotto delle premialità per chi controlla il rischio rispetto a chi non lo fa; la tendenza di talune direzioni a rimandare i risarcimenti rilevanti anche se erano evidenti le responsabilità. Tendenza favorita dal turn-over spesso frequente dei direttori.
Credo che sia giunto il momento che le compagnie assicurative e i consulenti di mercato inizino a fare proposte diverse rispetto alle polizze tradizionali. E’ nostro interesse organizzare prossimamente un evento in cui possano essere delineati scenari assicurativi diversi alla luce della nuova legge, aumentando da parte delle strutture sanitarie la possibilità di scelta sul mercato assicurativo.
Personalmente ritengo che, laddove è attuata le gestione diretta, se si mettesse a punto una polizza non basata sulla valutazione retrospettiva dei rischi sanitari ma sulla capacità di solvenza del sistema sanitario, assicurando ciò che risulti eccedente rispetto al fondo destinato ai risarcimenti, potrebbe questo essere un modo diverso di affrontare il problema.
Rispetto alla valutazione del rischio clinico, che rimane tutta nell’ambito del sistema sanitario e va realizzata, essendo i costi umani incomparabili a quelli economici, le compagnie dovrebbero concentrarsi, laddove si è scelto di costituire un fondo ad hoc, sul rischio economico.
Sul versante delle polizze individuali le compagnie dovrebbero prevedere delle riduzioni del premio, qualora il professionista riesca a dimostrare di svolgere un training periodico, soprattutto mediante simulazione su complicanze rare. Potrebbe essere il caso, ad esempio, degli ostetrici ginecologici che se potessero svolgere un paio di esercitazione l’anno sulle complicanze gravi del parto (distocia di spalla, emorragia post-partum ecc.), quelle che sono causa di pesanti risarcimenti, avrebbero una maggiore prontezza e abilità ad affrontarle.
Riccardo Tartaglia
Centro Gestione Rischio Clinico e Sicurezza del Paziente Regione Toscana. Collaborating Centre WHO in Human Factors and Communication for the Delivery of Safeand Quality care.
Riferimenti:
M. Vainieri, E. Flore, R. Tartaglia, T. Bellandi.
Analisi comparata dei modelli di gestione dei sinistri in sanità. Prime evidenze empiriche sui costi dei sinistri. MECOSAN 2014, 92: 27-53