17 luglio -
Gentile direttore,
si dà in questi nostri tempi una condizione affatto singolare e degna di qualche riga di riflessione in merito alla mutata relazione medico/paziente.
Si tratta del fatto che gli attuali cittadini pur ammettendo la propria ignoranza intorno a temi di cruciale importanza per la salute propria o dei propri figli (come nel caso della questione sui vaccini) decidono di reperire le informazioni necessarie a una scelta consapevole da fonti mediatiche anziché rivolgersi al proprio medico di famiglia, perché?
Che cosa spinge una considerevole massa di persone a ricercare in proprio notizie in rete, pur ammettendo l’assenza quasi totale di una propria conoscenza scientifica sull’argomento? Come mai questa spinta nonostante la detta “vulnerabilità intellettuale”, ovvero il probabile rischio di formarsi un’opinione non corretta essendoci di fatto in internet la possibilità di incontrare informazioni manipolate ad arte, o di incappare nelle famigerate fake news?
Il pediatra e il medico di famiglia dovrebbero essere in realtà le fonti privilegiate di informazione, forse non uniche, ma di certo preferite dal cittadino, se il tema entro cui desidera informarsi riguarda la salute. Come del resto egli si rivolgerebbe al calzolaio di fiducia se l’ambito entro cui vuole ricevere informazioni riguardasse le scarpe.
Ma fermiamoci un attimo a pensare: era soltanto la mancanza di internet il motivo per cui una persona, in tempi non troppo lontani, si rivolgeva al proprio medico per ottenere informazioni e consigli intorno alle scelte opportune per la salvaguardia della propria salute?
Riteniamo che i motivi principali per cui il cittadino si rivolgeva al proprio “medico di fiducia” per ottenere queste informazioni fossero principalmente quattro:
1. Per il grado di competenza professionale che riconosceva al medico.
2. Per il rapporto di stima, di fiducia e spesso di reciproco affetto che il medico aveva costruito affiancando e guidando il paziente e i suoi familiari nel corso degli anni.
3. Per il valore che il medico si era conquistato, come professionista e come persona, nello spazio della comunità di appartenenza.
4. Per il grado di conoscenza individuale, e dunque per la considerazione dell’unicità della persona del paziente, che guidava il medico nelle scelte del percorso di cura. Grado di conoscenza derivato dal dialogo, dall’attenzione e dall’ascolto della persona-paziente e della sua storia di vita.
Tutto ciò è andato irrimediabilmente perduto? Oppure concentrandoci sul punto nodale della perdita di relazione fra medico e paziente possiamo ancora sperare di recuperare il rapporto di fiducia necessario alla costruzione di quell’alleanza terapeutica (Cavicchi) necessaria e improcrastinabile per il bene del singolo e della collettività?
Siamo convinte che nel momento in cui il medico non è più considerato la principale figura di riferimento per i temi legati alla salute, è ai media che il cittadino si rivolge (internet e Social in particolare) tendendo ad assegnare un valore decisivo al parere espresso dalle fonti rappresentative delle proprie credenze politiche e/o religiose -spesso senza essere in grado di verificarne l'attendibilità scientifica. Di fronte a queste spinte decisamente irragionevoli forse è il momento di unire le forze per invertire la tendenza, nonostante l’impresa non sia affatto semplice.
Dal nostro punto di vista il primo passo per recuperare il rapporto di fiducia tra medico e paziente parte dalla consapevolezza della fragilità umana di fronte alla malattia e alla morte. Un disorientamento che nella nostra società è accentuato dalla costante rimozione di tutto ciò che è vecchio, brutto, obsoleto, nella vana illusione di poter rimanere per sempre giovani e immortali. Questa tendenza, oggi esasperata, era già stata brillantemente sintetizzata da B. Pascal nel pensiero 348: “Distrazione. Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l'ignoranza, hanno risolto, per viver felici, di non pensarci.”
La malattia impone però un brusco risveglio dal fittizio mondo della distrazione (divertissement). Similmente a quanto Platone racconta nel Mito della caverna uscire dalla condizione di ignoranza dei prigionieri in balia delle ombre cangianti delle false opinioni non è facile, né indolore. Non è in fondo terribile essere costretti a vedere una verità così tragica? Lo era anche per il prigioniero fuggito dalle catene che pure aveva ad attenderlo fuori la splendente verità del sole, non una prognosi sfavorevole: “E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? E non li giudicherebbe realmente più chiari di quelli che gli fossero mostrati? – È così, rispose. – Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lì a forza, su per l’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbe di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere. – Non potrebbe, certo, rispose, almeno all’improvviso. – Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore” (Platone, Repubblica, 515 e -516 a).
Le parole di Platone puntano sulla necessità di costruire un percorso di educazione e crescita consapevole che dovrebbe essere rivolta a chi oggi vaga di sito in sito lasciandosi trascinare da opinioni oscure e false. La cura dalla “distrazione” passa anche attraverso l'attenzione di una guida, il medico, che deve saper accogliere le paure del paziente e accompagnarlo, con gradualità e delicatezza, verso l accettazione della verità della condizione umana. Il medico non deve essere solo un bravo meccanico, deve recuperare il proprio ruolo di terapeuta, se vuole recuperare la fiducia del paziente, e soprattutto restituire senso e valore della propria professione.
Il medico del futuro dunque deve recuperare innanzitutto il dialogo con il paziente, riconoscendolo in tutto il suo essere (Cavicchi) e allo stesso tempo battersi per il recupero di tempi e modalità adeguati allo svolgimento della propria professione che possano consentirgli di recuperare la relazione con il paziente. E sottolineiamo: non solo di recupero della relazione si tratta, bensì anche di riappropriarsi dello spazio adatto a costruirla, del tempo necessario ad intrecciare storia di vita e storia clinica. Questo è uno dei passi importanti che il medico deve fare per riappropriarsi della grandezza della sua arte e della serietà nello svolgimento della propria professione.
Nella morsa delle linee guida, dei protocolli e tempi sempre più stretti il medico si trova a perdere di vista l’unicità della persona sofferente che viene ridotta a mero “caso clinico”: a questo punto medico e paziente perdono, di fatto, la propria umanità.
La cura diviene calcolo probabilistico e la guarigione semplice estirpazione della malattia. Il terreno per la sostituzione del medico con “un'intelligenza artificiale” di fatto è stato preparato.
Non solo il medico curante, ma anche il paziente deve essere recuperato e reso partecipe del suo ruolo nell’evoluzione della relazione medico-paziente. Il medico deve accompagnare il paziente verso la propria autonomia, tuttavia le decisioni dovranno essere comuni, se il paziente ha il diritto di decidere in libertà e autonomia intorno alla propria salute, deve tuttavia riconoscere al medico il valore e la dignità del suo ruolo professionale.
Ci appare questa un’opera di rinnovamento decisiva, una di quelle cure a tuttotondo che fa bene non solo al paziente ma anche al medico che recupera il senso della propria professione e il valore della vocazione di cura.
Elisabetta Favaretto
Chiara Fornasiero
Bruna Marchetti
TIziana Mattiazzi
L.A.I – Libera Associazione di Idee