6 giugno -
Gentile Direttore,
vorrei dedicare alcune righe ad una collega che rappresenta un esempio per noi tutti. “Antonio, da domani lascio l’ospedale e inizio a lavorare nelle strutture aziendali territoriali, al fine di instaurare un rapporto più stabile e continuativo con gli ammalati”. Con queste parole, qualche anno fa, la collega Dr.ssa
Caterina Pesce mi comunicò la sua decisione di trasferimento dalla Sala Operatoria del Presidio Ospedaliero “San Paolo” ai Servizi Territoriali della medesima ASL Bari.
Conoscevo molto bene Caterina, la sua serietà e competenza professionale, lo straordinario senso di responsabilità per gli impegni assunti, la capacità di programmare, di organizzare e perseguire progetti condivisi, nonché quella spinta interiore che alcune persone avvertono verso il rispetto dei doveri e dei diritti di cui, come Rappresentante Aziendale della più grande Azienda Sanitaria del Sud d’Italia, si faceva interprete con la capacità di emozionarsi e di indignarsi, e allo stesso tempo di smorzare i contrasti con un sorriso.
Anche di questo parlammo in quella telefonata, ben sapendo Caterina che la nuova attività sul territorio l’avrebbe allontanata dalle problematiche ospedaliere, rendendo di fatto molto difficile lo svolgimento del suo ruolo sindacale, di cui per tale motivo stava per passare il testimone.
Caterina sapeva affrontare e superare le difficoltà personali, anche di salute, sempre con serenità e speranza, anche in prospettiva del futuro professionale che la attendeva al servizio dell’assistenza domiciliare dei pazienti fragili.
Ma quello che Caterina invece non poteva certamente prevedere fu un fulmine a ciel sereno, che sconvolse letteralmente la sua vita e che nessuno che l’abbia conosciuta si sarebbe mai potuto aspettare: nell’aprile del 2014 fu accusata, e denunciata alla Procura, di essersi rifiutata di assistere a domicilio una paziente con Slaper sostituire una cannula tracheostomica.
Alcune figure istituzionali, anche sui media, si scatenarono in una gogna mediatica di accuse tanto assurde quanto travisatorie della realtà dei fatti.
Un esempio tra tutti.
Gli Anestesisti Rianimatori, tanti, che la conoscevano, e per tutti loro anche l’Aaroi Emac, per tramite del suo
Presidente, così come
l’OMCeO di Bari stigmatizzarono pubblicamente la ricerca di un capro espiatorio su cui scaricare colpe inesistenti, a danno della stessa giustizia che con pericolosa faciloneria – occorre sottolineare – in troppi confondono con la tortura mediatica giustizialista.
Caterina, coraggiosamente come sempre aveva affrontato ogni difficoltà, confidandomi anche personalmente il suo dolore, riuscì a trovare nel massacro di cui fu vittima una ragione in più per la massima determinazione nello svolgimento del suo lavoro a favore dei pazienti domiciliari, pur senza mai riuscire a guarire dalle mortali ferite professionali che le erano state inferte con tanta leggera e ingiustificata spietatezza.
L’inchiesta fu rapidamente conclusa per assoluta totale infondatezza delle accuse, ma nessuno dei giustizialisti dell’epoca si sentì in dovere di porre rimedio alle gravissime e infamanti dichiarazioni rese.
Caterina ci ha lasciati qualche giorno fa, in un tragico incidente stradale avvenuto durante la sua attività di servizio, mentre rientrava alla sua sede territoriale, da dove giornalmente partiva, dopo aver accudito un paziente Sla in assistenza domiciliare.
Antonio Amendola
Presidente Aaroi Emac Puglia