25 novembre -
Gentile Direttore,
la
sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza, in relazione alla causa di servizio che il sottoscritto ha intentato, nell’anno 2011, è stata riportata dalla stampa, in maniera assai distorcente. Si è ricorso all’utilizzo strumentale di questa sentenza per tentare di screditare un’azione amministrativa che punta ad affermare, nell’ASP di Cosenza legalità e trasparenza.
Le ragioni che mi hanno indotto a promuovere, nel 2011, la causa di servizio sono le stesse che mi impegnano, oggi, a dover respingere ed a non cedere a nessun tipo di condizionamento e di pressioni che hanno il desiderato fine di stravolgere il principio della regola della buona amministrazione, per tutelare interessi particolaristici e privati, nella sanità cosentina.
Per quanto mi riguarda, non ho ceduto allora e non intendo cedere oggi. Gli attacchi nei miei confronti iniziano nel 2007 e vengono amplificati dal 2010 in poi, attraverso rilevanti pressioni che sono sfociate anche in vere e proprie aggressioni. Nel periodo indicato si è dovuto procedere a far adeguare le case di cura al possesso dei requisiti strutturali, nonché, alla riorganizzazione in coerenza ai nuovi modelli dettati dal Decreto del Commissario per il Piano di Rientro, n. 18 del 2010.
A seguito dell’attuazione di tali modelli organizzativi, si è determinata la riduzione della produzione delle cliniche private, con conseguente flessione dei livelli occupazionali, fino al punto che in provincia di Cosenza, si è dovuto registrare il fallimento di quattro strutture. Mi sono trovato, nel difficile ruolo di servire due padroni, facendo da respingente, fra il management aziendale ed i lavoratori disperati. Altre strutture hanno dovuto fare ricorso all’istituto del concordato preventivo ed, in tale contesto, è scaturito un notevole ritardo nel pagamento dei lavoratori dipendenti.
In tali periodi ho subito l’avvelenamento del cane, minacce di morte e danneggiamenti all’automobile, nonché, l’occupazione della struttura da me diretta, con conseguente intervento della Digos, in più circostanze .
Di fronte a tali aggressioni ed alle minacce di cui ero oggetto, invece di registrare la solidarietà dei vertici aziendali pro-tempore, venivano esercitate ingerenze nell’espletamento delle mie funzioni, con l’intento di operare una mia rimozione dall’incarico ricoperto.
Il management aziendale pro-tempore procedeva, altresì, all’invio di tutti gli atti da me prodotti alla sezione regionale della Corte dei Conti che non attivava alcun procedimento amministrativo-contabile, nei miei confronti. Nonostante ciò si continuavano ad esercitare minacce e pressioni a mio danno.
Ho dovuto, pertanto, ricorrere alla causa di servizio, come extrema ratio, al fine di invocare la tutela aziendale nei miei confronti. Ero costretto in quel periodo a subire un grave stato di stress, in quanto mi sentivo isolato e non supportato dal management pro-tempore. Inevitabilmente, solo il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio poteva essere l’unica ed estrema tutela nei confronti della mia condizione lavorativa ed esistenziale. Tutto questo, unicamente, per aver operato nel rispetto della legalità e nell’interesse della Pubblica Amministrazione.
La sentenza interviene a novembre 2015, riconoscendo un danno alla persona ascrivibile all’ottava categoria, TAB A del DPR 30 Dicembre 81 n.834 ; tale condizione è pienamente compatibile con l’espletamento di qualsiasi attività lavorativa, ivi compresa quella di direttore generale aziendale.
Ritengo utile precisare che nulla ho chiesto a titolo di risarcimento del danno alla persona (equo indennizzo) all’ASP di Cosenza, né ho richiesto il pagamento delle spese legali, da me sostenute, in quanto il mio unico fine era la tutela e la difesa dell’esercizio della mia funzione a vantaggio della pubblica amministrazione.
A gennaio 2016, nominato Direttore Generale dell’Asp di Cosenza, dichiaravo l’insussistenza di incompatibilità di qualsiasi natura che, in base alla vigente normativa sulla causa di servizio, non sussistevano e non sussistono. Mai, avrei reso false dichiarazioni che potessero inficiare la mia nomina.
Tale nomina deliberata dal Presidente e dalla Giunta Regionale è, dunque, assolutamente legittima ed incontestabile.
Utilizzare, quindi, una sentenza del Giudice del Lavoro che sancisce una condizione indotta da un contesto di minacce e pressioni, come contraddizione della funzione dirigenziale che attualmente svolgo è, ancora una volta, un modo goffo e meschino da parte, probabilmente, di quei settori che esprimono interessi particolari nella sanità, per impedire che gli atti di gestione dell’Azienda siano improntati a principi di rigore, trasparenza, moralità e legalità.
Dott. Raffaele Mauro
Direttore generale Asp Cosenza