25 ottobre -
Gentile direttore,
qualche giorno fa Il DG delle Professioni Sanitarie del Ministero della salute
Rosanna Ugenti ha riconosciuto la necessità di un riordino delle cure primarie territoriali (dopo il riordino degli Ospedali) previa l’adozione di modelli in grado di garantire la sostenibilità.
A commento di questi autorevoli concetti pare opportuno poter estendere l’argomentazione a qualche tesi nodale emersa clamorosamente in questi anni di trattative per quello che viene definito in modo non appropriato “riordino delle cure primarie attraverso il rinnovo dell’ACN”.
Che qualche cosa di scomposto sia stato presentato sul tavolo delle trattative deve pur esserci se dalla aggrovigliata legge Balduzzi del 2012 (tentativo instabile ma istituzionalmente corretto di affrontare una riforma sul riordino delle cure primarie attraverso una legge o un decreto) nonostante l’intervento per districare la matassa compiuto dal Patto della Salute del 2014 (senza forza legislativa) i tempi si sono dilatati a tutt’oggi ( 2016) e alcune menti illuminate prevedono, alle condizioni attuali e per i contenuti più volte ripresentati dalla parte pubblica, tempi per nulla immediati.
Si possono all’uopo considerare solo due temi tra i tanti a disposizione e di analogo valore.
In tempi di globalizzazione non è avveduto pensare che il riordino delle cure primarie territoriali (che non riguarda solo la medicina generale ma tutta l’area della convenzionata, del territorio fino all’ospedale se si vuole realizzare l’ integrazione e la sua complessità come elemento indispensabile per una riforma moderna in grado di dare risposte all’epidemia della cronicità e delle varie forme di fragilità) possa realizzarsi attraverso la stipula di un ACN. Una Convenzione (o ACN) dovrebbe rappresentare un insieme di normative “convenzionali” inerenti i rapporti tra le richieste che lo stato presenta ai liberi professionisti e i loro oneri a fronte di un regolamento funzionale e di una remunerazione concordata.
Una riforma (ad es.: un riordino delle cure primarie territoriali, una strutturazione dell’integrazione multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale a gestione della complessità, una sistematica modalità per far fronte alla fragilità e alle cronicità, una integrazione ospedale-territorio) può essere originata solo da una Legge, da un Decreto Interministeriale o da un DPCM. All’interno di una reale riforma è possibile, come già ricordato, ritrovare risorse fresche e reali previo l’essenziale inserimento nella Legge di Stabilità di un comma relativo alla possibilità di utilizzare lo strumento dei Fondi di Rotazione anche per le cure primarie: l’Unione Europea ha accettato che i Fondi di Rotazione possano essere utilizzati anche per i servizi e non solo per le strutture e la Cassa Depositi e Prestiti è stata riformata nel luglio 2015 proprio a questo scopo.
Questo tipo di sostegno economico alla riforma del SSN e nello specifico al riordino delle cure primarie non graverebbe sul bilancio dello stato in quanto, dagli studi eseguiti e dalle proiezioni, l’intera somma utilizzata verrebbe restituita nel periodo di 6-8 anni. A fronte di questo impegno si realizzerebbe sul territorio nazionale una uniformità di performance, di comportamenti e di apprendimenti destinati a produrre un considerevole risparmio generale e quindi una forte sostenibilità del nostro SSN. Sono forse maturati i tempi per affiancare la Formazione Continua ECM all’apprendimento ( per adulti) svolto nell’attività di team multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale che deve essere accreditata al 100% degli ECM in grado di assicurare appropriatezza e adeguatezza prescrittiva in tempo reale e raggiungimento degli obiettivi anche economici aziendali.
La questione generazionale. Qualcuno ha definito questa problematica “conflitto generazionale”. Dal 2012 (legge Balduzzi) si argomenta di ruolo unico senza poi definire nei particolari cosa si intenda concretamente per ruolo unico. Le proiezioni Enpam hanno già da anni dimostrato come dal 2017 diventerà critica la copertura assistenziale da parte della medicina generale territoriale se non si facilita l’inserimento immediato (nello stesso anno del conseguimento il diploma) dei medici che escono dalla scuola di formazione in medicina generale senza l’irrazionale attesa di un anno.
Così come dev’essere data la priorità agli stessi medici che frequentano il Corso di Formazione in medicina generale per il servizio una volta denominato e conosciuto da tutti gli assistiti come Guardia Medica ma che oggi viene istituzionalmente definito Continuità Assistenziale. E’ anche possibile che la mancata programmazione di copertura assistenziale territoriale adeguata, in tempi di globalizzazione e di cronicità in crescita esponenziale, possa suggerire una qualche forma di affiancamento strutturato tra medici senior e junior nell’assoluto rispetto delle normative e delle graduatorie.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria CSPS
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia-Romagna