25 settembre -
Gentile Direttore,
nella lettera di Daniele Carbocci, "
Perché non si parla mai della sicurezza degli operatori nelle REMS?" viene sollevato un importante aspetto del funzionamento delle nuove strutture. Il tema è di grande rilevanza in tutta la medicina e in psichiatria considerando i numeri degli incidenti che si verificano.
Solo alcuni giorni fa è stato ricordato il terzo anniversario della scomparsa della
Dr.ssa Paola Labriola, psichiatra uccisa in un Centro di salute mentale di Bari. Un problema, quello della sicurezza delle cure, sia per gli operatori che per i pazienti e a questo proposito non vorrei dimenticare Andrea Soldi deceduto circa due anni fa a Torino durante un TSO, o fatti assai gravi come quello della morte in SPDC di Francesco Mastrogiovanni, documentata anche nel film "87 ore" o altri ancora.
Un argomento molto complesso e in questo breve spazio si possono fare solo alcune incomplete considerazioni sulla sicurezza delle REMS. Questa è multiderminata e certamente richiede la selezione, formazione e supervisione del personale sanitario, adeguato nei numeri e nelle competenze, motivato e organizzato nel lavoro di gruppo. Vanno previsti rinforzi mediante reperibilità e forze aggiuntive. Ma tutto questo non basta. Occorre avere molta chiarezza anche sul modello operativo che si sta applicando. Le REMS realizzate nel nostro paese sono molto diverse fra di loro.
Se la REMS è sostanzialmente un "mini-OPG" non solo ha tradito lo spirito della legge ma sarà anche una struttura pericolosa per tutti.
Se deve essere sostanzialmente un "carcere senza celle" non è per sanitari e la gestione dovrebbe essere riaffidata a chi ha la competenza della custodia.
Se, di fatto, si cerca di dare alle REMS un inapplicabile regolamento penitenziario, se le regole gestionali restano le stesse e non cambiano, se non vi sono permessi, attività, volontari ecc., se le modalità di accesso sono quelle del carcere e non delle strutture sanitarie, se le persone arrivano come pacchi sconosciuti a se stessi e a chi si deve prendere cura di loro, la pericolosità aumenta molto.
Se il compito centrale degli operatori diviene quello di contenere fughe e arginare aggressività e frustrazioni senza alcuna proposta progettuale e speranza,ospiti e operatori saranno in uno spazio ristretto sempre meno dotato di senso, alienato e via via colmo di disperata rassegnazione, di tensione-rabbia, di provocazioni in una massacrante dinamica controllori-controllati eterodiretti da un potere lontano percepito quasi come kafkiano. Se alle misure di sicurezza conseguenti al percorso giudiziario si uniscono le ripetute proroghe connesse ad eventuali violazioni dei programmi (tema assai frequente in sanità ed anche in salute mentale) si innescano spirali sempre più inquietanti e interminabili.
Se qualcuno pensa che le REMS siano sedi di correzione,dove si "raddrizzano" le persone, le aspettative irrealistiche finiranno con il diventare potenti e pericolose delusioni. Se il mandato di cura e abilitazione viene soffocato dalle misure di sicurezza e a mio avviso da un malinteso senso custodialistico, la legge 81/2014 fallisce.
Così la sicurezza dipende da modelli di collaborazione con magistrature, periti psichiatri, DAP che siano innovativi e tengano conto della nuova configurazione dei servizi, delle caratteristiche della REMS. Questa è una "Residenza" e come tale il programma terapeutico riabilitativo ha senso in uno spazio/tempo che siano condivisi e progettuali.
Quindi devono vedere protagonisti i servizi sociali e sanitari del territorio per organizzare un lavoro in REMS che possa svilupparsi in una osmosi continua tra interno ed esterno, rimettendo in gioco le persone, motivandole e responsabilizzandole, favorendo l'autocontrollo e l'autodeterminazione. Al contempo vanno coinvolte le famiglie, attivati i contesti sociali perchè si possano creare opportunità e accoglienza (si pensi ai profughi, senza fissa dimora ecc.).
Questo crea speranza e responsabilità verso di sè e verso gli altri. Anche nella gestione della struttura le persone ospiti (non gli "internati") devono avere un ruolo attivo attraverso diversi strumenti (comitato utenti, gruppi di automutuo aiuto, attribuzione di compiti, ecc.).
Le REMS non devono essere mini-OPG ma strutture socio-sanitarie temporanee dove si realizza un programma terapeutico e riabilitativo. Questo va costantemente sostenuto da tutti, in primis dalla magistratura, con la validazione dei programmi di cura complessivi, permessi, puntuale e periodica revisione della pericolosità sociale affinchè il programma possa procedere al di fuori della REMS.
Un clima di sicurezza si alimenta anche di lotta allo stigma (della pericolosità e irresponsabilità)e alle povertà (da quella economica, relazionale e culturale) e di nuove opportunità.
Il lavoro di cura consiste anche nell'elaborare quanto accaduto, riflettere per quanto possibile sul reato, sulle conseguenze, seguendo i modelli della c.d. riparazione del danno. Un percorso di maturazione interiore difficile, doloroso e complesso ma decisivo.
Le REMS devono essere luoghi di alta intensità di cura, permeabili al contesto e proiettate al futuro costruendo programmi personalizzati che ridiano protagonismo e possano avvalersi di strumenti nuovi quali il budget di salute favorendo anche così la recovery. I protocolli stipulati con le Forze dell'Ordine vanno manutenuti e periodicamente verificati.
Più la REMS diviene un luogo di cura più il livello di rischio diviene analogo a quello delle altre strutture psichiatriche.
Definire il modello di REMS e il suo funzionamento è pertanto essenziale per la sicurezza e il buon funzionamento del nuovo sistema affrontando tutti i problemi aperti. In questo devono essere presenti tutte le istituzioni interessati, parlamento,ministeri, regioni, magistratura, DAP, forze dell'ordine e servizi sanitari (e rappresentanze dei lavoratori).
Relativamente alla sicurezza, come rilevato in altri contributi vi sono persone autrici di reato che per aspetti personologici (antisociali) necessitano di soluzioni diverse dalle REMS e per questi vanno strutturati percorsi negli Istituti Penitenziari (sezioni per la tutela della salute mentale, osservazione ecc.) o esterni ad essi.
E' noto che l'aggressività è una condizione multideterminata da fattori biologici, psicologici, sociali e relazionali. Tutti devono essere accuratamente analizzati, valutati con strumenti tecnici e trattati in modo adeguato. Non vi è lo spazio per approfondirli ma un cenno sugli aspetti ambientali delle REMS va fatto al fine non solo di evitare ogni sovraffollamento ma di garantire spazi personali, il minimo "vitale" (contatti, soldi per le piccole spese e sigarette ecc.), privacy e soprattutto possibilità di uscire nel verde, di avere permessi e di dare senso al tempo evitando il vuoto e la noia.
Ancora va ricordato che il modello assistenziale condiziona la risposta degli utenti e degli operatori e un atteggiamento tecnico adeguato fondato su valori di rispetto reciproco può favorire comportamenti più appropriati e sviluppare senso di responsabilità e umanità in contesti anche molto difficili.
Occorre quindi lavorare in qualità, registrando tutti gli eventi critici, gli incidenti, facendo un attento monitoraggio, audit ecc. coinvolgendo sempre gli utenti. Ci sono voluti diversi anni per identificare i modelli operativi della psichiatria post 180 e grazie a queste esperienze sappiamo come dovrebbero essere le REMS che più correttamente andrebbero chiamate "Residenze per la cura di persone con misure di sicurezza"
Infine il lavoro psichiatrico va adeguatamente retribuito con tutte le indennità contrattuali ed incentivanti, riconoscendo tra l'altro, che si tratta di un'attività usurante.
Pietro Pellegrini
Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma