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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Lettere al Direttore

Nonostante tutto il Ssn tiene. Ma non sarà merito anche del personale?

di Ornella Mancin
8 luglio - Gentile direttore,
nonostante alla sanità pubblica venga destinato un Pil fra i più bassi tra i paesi sviluppati (6.8, verso 8.3 di Germania, 8,5 di Francia ecc…); nonostante che il tasso di obsolescenza tecnologica dei nostri ospedali sia passato dal 70%  del 2009 all’80% del 2013 (dati Fiaso), le risorse digitali siano in costante diminuzione e il personale a tempo indeterminato sempre più scarso.

Nonostante tutto questo il SSN tiene, se è vero, come riportato dal Forum Fiaso , che vi è un miglioramento delle performance sanitarie  valutate su 92 indicatori, del 68,5% dei casi.

Non sarà forse merito di quanti a vario titolo lavorano dentro il servizio sanitario pubblico? Medici (dal medico di famiglia al direttore sanitario), personale infermieristico e paramedici, tutti impegnati a dare il meglio per garantire la sussistenza di un Sistema sempre più de-finanziato.

Non succede solo in sanità. In tempi di crisi molti settori si sostengono grazie all’impegno di quanti ci lavorano.
“Con meno soldi degli altri otteniamo migliori risultati e questi li dobbiamo ai medici e agli altri attori del SSN” scrive il dr. Panti (QS 5 luglio).
Non è chiaro quindi perché i medici vengano spesso additati anziché come reale risorsa del sistema sanitario , come causa della sua insostenibilità e possibile default.

I medici si sa prescrivono troppi farmaci , fanno fare troppi esami, pretendono di fare diagnosi fin troppo sofisticate … in altre parole esigono di poter curare le persone che a loro si affidano.

Il medico spende troppo e tutti si adoperano per indicargli la strada del risparmio. Le Regioni impongono indici  da rispettare ( spesa farmaceutica, tassi di ospedalizzazione ..), le aziende pongono limiti di bugdet e controlli serrati sulle prescrizioni, associazioni come Slow medicine e Choosing Wisely mandano messaggi “moralizzanti” che invitano a fare meno (”fare di più non significa far meglio”).

I medici appaiono  sempre più disorientati e frustrati perché non è più chiaro se è più importante seguire il  giuramento professionale che impone di perseguire “ la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza”, “di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno”, di “promuovere l’alleanza terapeutica con il paziente” o se sia invece prioritario applicare  le  regole imposte (199 comunicazioni in un anno hanno denunciato alcuni colleghi veneti)  convinti  che il compito primario  sia di rispettare gli “obiettivi” stabiliti da chi in fondo  paga loro lo  stipendio.
Negli ultimi tempi si è fatto un grosso lavoro per la riduzione della spesa farmaceutica, aiutati in questo anche dall’avvento dei farmaci generici. Ma di quanto si potrà ancora scendere se non obbligando i cittadini a comprarsi i farmaci di tasca propria? E’ pensabile che ogni anno le Regioni abbassino i paletti della spesa pro capite ( 120, 117, 114)?  O è possibile una medicina senza farmaci?

Abbiamo ottenuto grossi successi nel settore cardiovascolare con l’uso delle statine, con i farmaci  antipertensivi  sempre più efficaci nella riduzione del danno d’organo; improvvisamente non si può credere  che meno farmaci è meglio.

Per me e per i miei colleghi che lavorano nel territorio è perentorio per esempio portare il livello del colesterolo LDL sotto i 100 e nei casi più severi sotto i 70 mg /dl in prevenzione secondaria, perché gli studi indicano una significativa riduzione del rischio  e un aumento della sopravvivenza con tali valori.

Come si concilia questo con ad esempio la slow medicine? E’ sempre vero che meno è meglio?
Se davvero è così  ha ragione il dr. Panti quando afferma che il “il rischio, di fronte alla vastità dei problemi è di rifugiarsi nel ricordo di un passato… del vecchio condotto col calesse, del medico amico che si permetteva  lunghe visite a casa concluse col bicchierino di rosolio”.

Ma è di questa medicina che abbiamo bisogno oggi?
Il medico del passato lavorava con quello che aveva (il suo occhio clinico, qualche strumento rudimentale e pochi farmaci); oggi abbiamo tecnologie sempre più avanzate che ci hanno permesso dei passi avanti notevoli nella cura e sconfitta di alcune malattie; non possiamo ripiegarci, per scarsità di risorse , in una medicina nostalgica fatta di  pacche sulle spalle e consigli generici. Ce lo impedisce prima di tutto il nostro senso etico.
Noi dobbiamo adoperarci affinché a tutti siano permesse le “migliori cure possibili”. Il percorso non è facile ma possibile. C’è bisogno però di ridurre le imposizioni e di favorire un sistema di lavoro che premi l’autonomia in solidità con i risultati ottenuti.

Il medico non può essere considerato alla stregua di un impiegato  a cui va detto esattamente quello che deve fare e come lo deve fare. Purtroppo attualmente questo sta succedendo.
E’ auspicabile un cambiamento di rotta che riporti il medico al centro del sistema e che ne rivaluti le potenzialità: i medici sono una risorsa del SSN e ne hanno a cuore la sua sussistenza. Non possono essere considerati gli “avversari” del sistema.

Ornella Mancin
Medico di famiglia
Cavarzere (VE)
8 luglio 2016
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