31 maggio -
Gentile Direttore,
la rivista
The Lancet ha pubblicato qualche giorno fa un articolo che riporta i risultati di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori canadesi della McMaster University sull’associazione tra quello che “si presume” sia l’apporto alimentare di sodio di alcuni campioni di popolazione e l’incidenza di eventi e morti cardiovascolari.
Il lavoro ha fatto immediatamente notizia in quanto sostiene che i livelli di consumo di sale raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e, in Italia, dalla Società Italiana di Nutrizione Umana sarebbero inappropriati e addirittura dannosi per molte persone mentre sarebbero corretti i consumi correnti giudicati eccessivi dalle Linee Guida per la sana alimentazione di tutti i Paesi. Gli autori dell’articolo suggeriscono di fatto di rivedere le Linee guida ignorando il fatto che queste ultime sono state elaborate su una base solidissima ed estesa di evidenze pubblicate su prestigiose riviste scientifiche.
The Lancet è stato oggetto in poche ore di una serie di repliche molto accese da varie fonti, inclusa l’American Heart Association, per aver pubblicato un lavoro frutto di una ricerca di pessima qualità con delle conclusioni e delle proposte infondate e potenzialmente molto pericolose.
In considerazione dell’importanza della posta in gioco, la Società Italiana di Nutrizione Umana ed il Gruppo di Lavoro per la Riduzione del Consumo di Sale in Italia ritengono necessario esprimere chiaramente il proprio giudizio assolutamente negativo sulla qualità dello studio in oggetto e la sua totale inadeguatezza a descrivere la relazione esistente tra eccesso di sodio alimentare e malattie cardiovascolari.
Le ragioni di questo giudizio negativo sono molte, semplici e chiare, e possono così riassumersi: 1) disegno dello studio inadeguato perché finalizzato a obiettivi del tutto diversi da un’indagine nutrizionale; 2) molti dei partecipanti allo studio erano soggetti ad alto rischio cardiovascolare in quanto ipertesi, diabetici e/o dislipidemici o addirittura già colpiti da infarto o scompenso cardiaco, quindi sottoposti a intense terapie farmacologiche, incluso diuretici ad alte dosi; 3) il metodo utilizzato per la stima del consumo abituale di sale era totalmente inadeguato (un semplice campione di urine raccolto al mattino a digiuno); 4) mancanza di alcuna plausibilità biologica per spiegare come mai un consumo di sale di 5 grammi al giorno debba essere più dannoso di uno di 12 o più (in contrasto con tutta l’evidenza disponibile in letteratura).
Il paradosso nel messaggio lanciato dagli autori dello studio sta nel fatto che essi riconoscono che un maggior consumo di sale conduce a più alti valori pressori: ciononostante, sostengono che un consumo pari a 17 grammi o più al giorno per una persona normotesa sia preferibile ad uno di 5-6 grammi quale quello raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerendo in sostanza di mantenere invariati i consumi correnti in Europa e negli Stati Uniti.
Per i motivi analizzati, la conclusione non può che essere il rigetto in toto delle affermazioni e delle proposte degli autori di questo studio, che seminano disinformazione e confusione nel tentativo di scardinare le politiche di riduzione dell’eccesso di sale nella dieta abituale che, sebbene faticosamente, si fanno strada ormai nella maggior parte dei Paesi a sviluppo più avanzato.
Si tratta di fatto di un attacco alle politiche di prevenzione primaria: cosa comporterebbe un’accettazione delle proposte avanzate dagli autori di quest’attacco? Evidentemente un ulteriore incremento del numero di ipertesi (lo ammettono gli autori stessi) e di cardiopatici, pari già a molti milioni in tutti i Paesi, e dunque del numero di persone bisognevoli di farmaci per curare prima l’ipertensione e poi le sue conseguenze (infarto, ictus, scompenso cardiaco, insufficienza renale) con buona pace della spesa sanitaria.
Come ribadito dall’American Heart Association, mai come adesso è indispensabile proseguire e incrementare, a vantaggio degli individui e della comunità, le misure in favore del miglioramento degli stili di vita e quindi della prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari e cronico-degenerative in generale: tra queste misure una sana alimentazione ed un basso consumo di sale costituiscono una pietra miliare. La SINU continuerà a lavorare alacremente in questa direzione.
Pasquale Strazzullo
Ordinario di medicina Interna presso l’Università di Napoli Federico II e Presidente della Società Italiana di Nutrizione Umana
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