21 maggio -
Gentile direttore,
mi trovo a scriverle dopo aver letto
l’intervento che la senatrice De Biasi, in cui muovendo i passi da alcune espressioni apparse su un social network e tese a suo dire ad offendere, la stessa erga omnes si rivolgeva all’intera categoria dei fisioterapisti per chiedere il rispetto civile del contraddittorio.
Le confesso che non appena ho letto le parole di De Biasi, sono rimasto abbastanza perplesso in merito all’opportunità o meno di associare le espressioni offensive di alcuni internauti, celati sotto le spoglie di profili spesso falsi, ad un’intera categoria di professionisti sanitari iscritti ad associazioni di categoria identificate e riconosciute dal Ministero della Salute.
Insomma, sappiamo tutti come funzionano i social network: chiunque può aprirvi un profilo, associandovi immagini e dati personali a suo piacimento (età, città di residenza, genere, studio, lavoro etc.) e che non necessariamente debbono corrispondere alla realtà, pertanto l’aspetto e la qualifica degli internauti che vi scrivono può spesso essere fittizia cioè non veritiera.
Pertanto, mi sento di dire alla sen. De Biasi quanto è notorio in casi del genere e cioè segnalare l’accaduto alle autorità competenti, le quali sapranno sicuramente rintracciare le persone fisiche e vagliare secondo la legge il tenore e la portata delle frasi offensive rivolte: solo così si potrà risalire all’identità fisica effettiva di chi li ha prodotti e valutare la presenza o meno di responsabilità individuali sul piano della legge.
Il processo di generalizzazione dell'identificazione dal singolo alla compagine di appartenenza professionale, mi permetto, è anzitempo screditante per chi non ha fatto quei commenti o addirittura neanche è presente o attivo sui social: la responsabilità è del singolo e, a maggior ragione quando si parla di social network, per arrivare a ricondurre degli accadimenti incresciosi, che se confermati sono assolutamente da censurare e reprimere, ad una certa categoria di estrazione o appartenenza occorrono prove certe che non possono muovere dalla mera estrapolazione dei dati del profilo dell’internauta su cui, mi ripeto, può essere caricato ed inserito qualsiasi elemento, anche non vero.
Prima di arrivare già a generalizzare la portata di tali commenti, verosimilmente in un numero sparuto rispetto ad una compagine di migliaia e migliaia di professionisti, avrei preferito pertanto, nelle more del percorso di vaglio ed accertamento giudiziario, la dignità del dubbio e della prudenza.
Matteo Carati
Insegnante scuola primaria