18 maggio -
Gentile direttore,
non è difficile condividere
la presa di posizione della SIMFER che si oppone alla istituzione della osteopatia e della chiropratica come professioni sanitarie, criticando il metodo e le conseguenze di questo ddl, e facendo riferimento a quei limiti culturali e scientifici che sono stati espressi appieno dal
manifesto sulla osteopatia del ROI pubblicato su quotidiano sanità nel 29 aprile scorso.
Alla lettura del manifesto del ROI, che possiamo definire come la prima uscita ufficiale degli osteopati italiani, quello che lascia immediatamente stupefatti è la candida ammissione che ci sono 6000 osteopati in Italia che hanno in cura 2 milioni di italiani, per patologie quali: “….., sciatalgie, artrosi, discopatie, cefalee, dolori articolari e muscolari da traumi, dolori muscolo scheletrici, alterazioni dell’equilibrio, nevralgie, stanchezza cronica, otiti, sinusiti, disturbi ginecologici e digestivi di persone di tutte le età, dal neonato all’anziano, dalla donna in gravidanza ai soggetti sportivi” ed al tempo stesso che la osteopatia si presenti come una professione sanitaria di primo soccorso al paziente.
In poche righe si afferma che l’osteopata si occupa, in prima persona, in maniera indipendente e trasversale, di patologie proprie del campo della medicina di base, della neurologia, della medicina interna, della ortopedia, della medicina fisica e riabilitativa, della ginecologia, della pediatria, della geriatria, della medicina dello sport, della neurochirurgia, della reumatologia!
Sempre per ammissione del manifesto, però, questi disturbi vengono curati “solo in assenza di lesione del tessuto o dell’organo”, ovviamente in maniera indipendente e naturalmente nell’interesse della salute del cittadino.
E’ evidente che l’osteopata descritto in questo manifesto dimostra competenze cliniche fuori dell’ordinario, visto che, unicamente tramite il sapiente utilizzo di mani e cervello, riuscirebbe a capire se l’otite, la cefalea, una sinusite o un disturbo digestivo o ginecologico, anche di un neonato, di un anziano, o di una donna in gravidanza, siano o meno in assenza di lesione di organo o di struttura.
Non solo, ma una volta compresa causa e conseguenze del male del suo ammalato, l’osteopata imposterà il suo piano terapeutico che consisterà nel solo ed unico utilizzo delle sue mani, si legge nel documento. Al mio bambino fa male un orecchio, sarà un otite, allora lo porto dal mio osteopata nel quale ho tanta fiducia così non gli darà quegli odiosi antibiotici che usa il mio pediatra.
Mio nonno non riesce a digerire, non va di corpo e gli fa male la pancia, per fortuna che ho un osteopata nel palazzo che con un trattamento osteopatico potrà rimettere le cose a posto, ma sì, il mio medico di famiglia ha quel brutto il vizio di prescrivere tutti quegli inutili esami. Ho una sciatica tremenda, ora vado dall’osteopata così non prenderò tutte quelle medicine che mi rovinano lo stomaco.
E questi sarebbero gli scenari auspicati dal ROI e dal ddl Lorenzin per una migliore sanità italiana? Probabilmente queste taumaturgiche abilità cliniche osteopatiche verranno dall’avere individuato questa condizione fisiopatologica descritta nel manifesto: la “affezione congestizia” di otiti, sinusiti e dei disturbi ginecologici e digestivi, ancora sconosciuta a noi medici allopatici. Così come noto con sorpresa ed interesse che secondo la classificazione osteopatica ROI la “artrosi e la discopatia” non appartengono al capitolo delle lesioni di organo o di tessuto.
Nel manifesto si legge che ai cittadini dovranno essere garantiti prestazioni uniformi, è probabile che il ROI, dall’alto della sua decennale esperienza, ci voglia fare intendere che per la formazione di questi superdoctors sarà esso stesso a porsi come riferimento didattico e culturale. Quindi meravigliato da tanta competenza e sicurezza, mi sono andato a leggere i programmi didattici, giusto per capire quale metodo abbiano sviluppato negli anni e per capire quando e come siano stati introdotti insegnamenti sulla “sindrome congestizia” e sulla classificazione di “artrosi e discopatie” nel capitolo della patologie non strutturali.
Ad una prima lettura dei programmi la prima cosa che richiama l’attenzione è che l’Osteopata ha un percorso di studio di cinque o sei anni, in pratica come i medici, e questo è un dato che mi ha sorpreso. Mi ha anche sorpreso che gran parte dei docenti, avendo come unico titolo quello di “osteopata”, non abbiano una formazione accademica chiaramente individuabile ed a maggior ragione mi ha lasciato di stucco l’esorbitante costo della frequenza alle scuole del ROI.
Quindi a parte il titolo di studio dei docenti che lascia legittimi dubbi, indagando sul programma didattico si capisce che questo percorso formativo in realtà è limitato, più o meno, a nove weekend di lezione per ogni anno di corso! Se la matematica non è un’opinione nove weekend di lezione all’anno fa circa 27 giorni di lezione per anno di corso. Facendo un calcolo spicciolo ed approssimativo, 27 giorni di lezione all’anno, sono sei mesi di lezione per tutto il corso ROI, però spalmati in sei lunghissimi anni.
Non saranno un poco pochi per una professione di primo contatto? La diagnosi differenziale tra le infinite possibili cause di un sintomo è un processo estremamente complicato che contiene algoritmi di calcolo di infinite variabili. Se prendiamo come assunto che il funzionale è diagnosticabile unicamente dopo avere escluso lo strutturale e che ogni medico specialista di branca, professionista di primo contatto, per arrivare a fare una diagnosi differenziale tra strutturale e funzionale ha un durissimo e lunghissimo corso di studi universitario di sei anni di laurea e cinque o sei di specializzazione, non si capisce queste straordinarie abilità cliniche osteopatiche quando, come e dove siano maturate.
Con tali premesse si potrebbe dedurre che l’accesso alle scuole di osteopatia ROI sia limitato ai soli medici, magari già specialisti. Neanche questo è vero, perché oltre a podologi, infermieri o psicomotricisti e ad altre professioni sanitarie di diversa estrazione, questi corsi sono aperti finanche, udite udite, ad i semplici diplomati di scuola media superiore che volessero frequentare le scuole a tempo pieno!!
Quindi il ROI candidamente ammette che ci sono in Italia seimila operatori, garantiti dal Registro Osteopati Italiani, tra i quali psicomotricisti, infermieri, podologi e perfino diplomati in scuola media superiore che, con un percorso formativo come quello descritto, privato, extra-statale, extra-universitario ma garantito ROI, sono in piena indipendenza e di primo contatto nel fare diagnosi differenziale e nel fare trattamenti terapeutici in campo pediatrico, ginecologico-ostetrico, geriatrico, neurologico, ortopedico, riabilitativo, internistico, etc.. Ma le professioni sanitarie non erano state classificate come professioni protette? Ma protette da chi?
Eppure negli Stati Uniti gli osteopati americani, che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare proprio nel college di Kirksville dove nacque e si sviluppò la osteopatia, e che sono di diritto gli ideatori e pertanto i principali rappresentanti della Osteopatia a livello mondiale, hanno una idea molto diversa sulla osteopatia da quella che hanno gli osteopati nostrani.
Basti sapere che
Brian Perri, il marito americano della famosa
Elisabetta Canalis, è un ortopedico chirurgo vertebrale, laureato in medicina osteopatica, specializzato in ortopedia, con un fellowship in chirurgia vertebrale. Cioè gli osteopati americani a differenza di quelli Italiani , si occupano di medicina, fanno i medici, hanno fatto il percorso inverso di quello che oggi, per mera esigenza di consenso politico, si vorrebbe in Italia.
Gli osteopati americani sono passati dall’essere medicina alternativa ad esercitare la medicina ufficiale per il semplice motivo che hanno riconosciuto che la medicina pensata da A.T. Still a fine 1800, era stata abbondantemente superata da tutte quelle scoperte ed invenzioni che hanno prodotto più di un secolo di premi Nobel per la medicina e che non giustificava più l’alterità della osteopatia come risorsa alternativa alla medicina ufficiale.
Infatti è stato già detto che la osteopatia, ossia l’accesso ad una professione che vuole occuparsi, trasversalmente ed in maniera indipendente, delle patologie indicate nell’elenco del ROI, andrebbe limitato ai soli laureati in medicina a chirurgia, ma anche questa sarebbe una iniziativa inutile tenuto presente che dei 70.000 osteopati americani, la maggior parte sono ginecologi, otorinolaringoiatri, internisti, fisiatri, medici di base, etc, e solo in 2.000 praticano la terapia manuale di Still, ma con competenze aggiunte rispetto ad i nostri, sia diagnostico strumentali, che terapeutiche farmacologiche. 2000 osteopati per 360 milioni di cittadini americani, laddove in Italia ne abbiamo 6000 per 60 milioni di cittadini, cioè gli osteopati Italiani hanno raggiunto numeri tali da superare, per numero, molte specialistiche mediche alle quali lo Stato, tramite i numeri chiusi, ha impedito l’accesso persino agli stessi laureati in medicina.
Due pesi e due misure. Comunque, in buona sostanza, se la storia ci racconta che sono stati gli stessi inventori della osteopatia ad averne individuato per primi i limiti, non si muovano accuse di casta se oggi in Italia vengono tratte, da qualcuno, le medesime conseguenze.
Un’ultima osservazione, le professioni sanitarie sono già state, tutte, regolamentate con i numeri chiusi e mi viene immediatamente in mente un’altra domanda; ma se il fabbisogno terapeutico ed occupazionale in materia sanitaria è già stato rigidamente disciplinato e quantificato, a chi verranno tolti i posti di accesso al corso universitario a favore di osteopati e chiropratici? Ai medici, alle professioni sanitarie non mediche, o verrà introdotto nel mondo della sanità italiana un nuovo fabbisogno terapeutico inventato su misura per queste emergenti, raccomandatissime, professioni sanitarie?
Dott. Giampaolo de Sena
Medico Fisiatra