14 aprile -
Gentile Direttore,
il recente convegno sulla corruzione in sanità ha riportato alla ribalta il problema delle nomine dei direttori generali delle aziende sanitarie, ritenute oggi troppo legate al potere discrezionale delle Regioni che non valuterebbero correttamente requisiti e competenze dei nominati, dando priorità all’affiliazione politica e alla nomina di yes men, semplici esecutori di desiderata politici più o meno leciti.
La lettura del libro di
David van Reybrouck “Contro le elezioni: perché votare non è più democratico” mi suggerisce di proporre il metodo usato per una decina di secoli dalla Serenissima Repubblica di Venezia per “eleggere” il Doge. Si trattava di un sistema misto di sorteggio e di elezione, al fine di designare, comunque, una persona competente senza che la nomina fosse oggetto di liti anche cruente tra le famiglie nobili. Tutti i membri del Maggior Consiglio (oltre 500) scrivevano il loro nome e lo riponevano dentro una ballotta di legno (da cui deriva il termine ballottaggio); il più giovane consigliere si recava nella Basilica di San Marco dove chiamava il primo bambino tra gli otto e i dieci anni che incontrava; questo ballottino, innocente, estraeva 30 nomi che venivano ridotti a 9 con una seconda estrazione.
I nove estratti, con una procedura di elezione a maggioranza (in realtà una cooptazione) allargavano il collegio elettorale a un totale di 40 persone. I 40 venivano ridotti per sorteggio a 12. Questa procedura di riduzione per sorteggio e d’incremento per elezione/cooptazione veniva ripetuta con lo stesso meccanismo fino al nono e penultimo “turno” dal quale si ottenevano 41 grandi elettori che si riunivano in conclave e eleggevano il Doge. L’intera procedura durava cinque giorni e si articolava in dieci fasi.
Potrebbe questo metodo essere utilmente usato per designare i direttori generali che devono gestire il servizio sanitario nazionale? Non vi è dubbio, a mio avviso, che i direttori generali, che amministrano ingenti risorse pubbliche, debbano essere nominati da chi risponde ai cittadini elettori. Per arrivare a una nomina “politica” che, tuttavia, assicuri la competenza dei nominati e sterilizzi gli effetti ritenuti negativi della attuale discrezionalità, si potrebbe costituire in ogni Regione un “Maggior Consiglio” composto da tutti i consiglieri regionali, da 20 consiglieri comunali estratti a sorte e (opzionale se si vuole coinvolgere il mondo professionale) da 10 rappresentanti delle professioni sanitarie (estratti a sorte dagli albi di ordini e collegi). Per sorteggio questi potrebbero essere ridotti a 31 persone, ulteriormente ridotti a 11 con una seconda estrazione. Questi, con un meccanismo di elezione/cooptazione, potrebbero coinvolgere altre persone fino a un massimo di 25. Proporrei di stabilire 5 turni di sorteggio (per ridurre il numero) e di elezione/cooptazione (per allargare il collegio). Al penultimo turno, si eleggono/cooptano 21 persone che si riuniscono e designano i direttori generali facendo riferimento all’elenco nazionale la cui istituzione è stata recentemente decisa dal Governo.
Naturalmente, l’intera procedura di sorteggio e di elezione/cooptazione dovrebbe essere attentamente supervisionata da un organismo di garanzia super partes: la storia ci insegna che, nel passato, le procedure pubbliche per l’estrazione dei commissari delle commissioni di concorso hanno mostrato poca trasparenza.
L’elenco nazionale dovrebbe, tuttavia, assicurare non solo il possesso di requisiti formali (laurea, anni di lavoro direzionale, ecc.), ma anche di standard di formazione di base, specialistica e continua e di competenze motivazionali, manageriali e di leadership senza le quali le nostre organizzazioni sanitarie non possono prosperare. Ma sul tema dell’elenco nazionale varrà la pena di offrire una riflessione a parte.
La procedura è solo apparentemente farraginosa: tutto si potrebbe risolvere in pochi giorni.
Questa riflessione potrebbe sembrare una provocazione. Se vogliamo lo è, ma in senso positivo: ha l’ambizione di suscitare una discussione che aiuti il sistema sanitario a selezionare i migliori, mantenendo la responsabilità della designazione in capo alla politica.
E’ solo un’idea preliminare che deve essere necessariamente affinata, discussa, criticata, sostituita magari da un’altra più brillante. Non affrontare il tema determina conseguenze negative sulla percezione che la pubblica opinione ha su chi gestisce ingenti risorse economiche e ha grandissime responsabilità nell’erogazione di servizi molto delicati per la vita stessa dei cittadini.
Carlo Favaretti
già Direttore generale di aziende sanitarie