toggle menu
QS Edizioni - martedì 26 novembre 2024

Lettere al Direttore

La riforma delle cure primarie e il distacco dalla realtà

di Bruno Agnetti
5 aprile - Gentile direttore,
le bozze del “nuovo” atto di indirizzo del 10 marzo 2016  (integrazione  all’atto di indirizzo del 12 febbraio 2014 ) riguardanti il tribolato tentativo di riformare l’assistenza territoriale e le cure primarie circolate prima delle festività Pasquali sono state ufficializzate dall’intervista su QS al Coordinatore Sisac Vincenzo Pomo.
 
La pregressa Legge Balduzzi del 2012 e il Patto della Salute 2014 hanno imposto, in questi anni, una  approfondita esegesi  dei testi  a causa  di una  intrinseca  difficoltà interpretativa. Nonostante tutto appare  comunque  irrinunciabile e non dilazionabile  la necessità di ipotizzare  un  progetto di discontinuità,  di riordino radicale  ed epocale del settore  in considerazione dei  noti effetti  dovuti alla  globalizzazione in ambito  socio-sanitario, epidemiologico e demografico per non parlare dei primi segnali di de-urbanizzazione.
 
Desta quindi meraviglia che quello che doveva diventare un riordino  epocale  dell’assistenza  territoriale  (necessario come l’aria che respiriamo) venga edificato su un ipotesi di H16 incerta, nebulosa, mai sperimentata  concretamente, carente di definizioni nazionali chiare.  In questo modo il ritardo  accumulato pare proprio incolmabile e  la crisi di fiducia sembra essere  così elevata  che  molti  mmg  stanno pensando ad  un ritorno al passato (agli ambulatori singoli di proprietà).
 
Il dibattito svoltosi all’interno della professione dal 2012 a tutt’oggi ha più volte argomentato intorno a   disegni programmatico-organizzativi di riordino che avessero i caratteri di una riforma epocale  non retorica  in considerazione dei nuovi bisogni dei clienti interni ed esterni al SSN, delle emergenze territoriali, delle cronicità e delle fragilità, del territorio come avamposto fondamentale in grado anche di favorire la funzionalità operativa degli ospedali per acuzie.  
 
All’interno del quadro normativo che prevede l’istituzione delle AFT e delle UCCP  il confronto professionale ha   tentato  di ricercare  definizioni  nazionali (ACN) che, pur nella flessibilità, non permettessero  eccessive  possibilità interpretative periferiche  in merito alla funzionalità delle AFT; all’erogabilità   delle UCCP  intese come articolazioni aziendali/distrettuali; alla completa detraibilità dei fattori della produzione dell’assistenza personale compreso; alla gestione  territoriale autonoma  delle varie fasi del governo clinico;  all’integrazione multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale (M&M&M); alla gestione della cronicità e delle prestazioni non differibili all’interno delle UCCP e con sistemi hub and spoke in grado di coinvolgere le AFT; al sistema di accoglienza e di assistenza alla fragilità.
 
Dal punto di vista contrattuale  qualche collega ha espresso la convinzione che vi possa essere  una maggiore incisività professionale  inserendo al posto dello storico paradigma “orario-salario”  il concetto di  “ruolo-coordinamento-funzione”. Questo disegno, che appare più adeguato ai nuovi bisogni globalizzati, come sostengono alcuni economisti,   potrebbe  trovare sistemi  generativi di  auto-sostenibilità  e di trasmissibilità  ed inoltre, in stretta alleanza con l’empowerment dei cittadini, sarebbe in grado di reperire addirittura autofinanziamenti orientati  a ciò che  le comunità iniziano  a considerare un bene comune non scontato e  che necessita di essere difeso.
 
Per realizzare poi un reale inserimento dei giovani colleghi (vedi dati pubblicati dall’annuario  Enpam sul   numero assoluto nazionale di pensionamenti  dei mmg giunti al 70° anno di età)  superando le forme narrative o demagogiche  e realizzando un reale  ruolo unico  occorre  annullare  il periodo di attesa ( un anno)  per l’inserimento  dei diplomati  nelle graduatorie regionali; attivare  le zone carenti e le relative graduatorie  in tempo reale  attraverso l’informatizzazione; considerare  la fragilità anagrafica   dei   mmg di AP ultra  sessantenni  individuando sistemi trasparenti e rispettosi delle graduatorie regionali  a  sostegno  di   zone carenti parziali  anticipate   con  la  possibilità di detrazione e detassazione   dei costi  (come avviene per il riscatto degli anni universitari).  
 
Questi confronti e i relativi  dibattiti   sono rimasti  però  esercizi letterari  a causa  di una scarsa attenzione da parte della politica verso iniziative innovative ad adeguate alle esigenze  contemporanee  del territorio (e dell’ospedale e dei servizi).  La carenza  di interlocutori ha innestato  lentamente ma inesorabilmente la  comparsa  un pensiero unico, poco incline  all’ammodernamento e che ha creato alla fine  un  distacco dalla realtà assistenziale  forse insanabile (sono apparsi articoli che propongono la privatizzazione delle Ausl; l’autonomia imprenditoriale dei mmg; il passaggio a dipendenza  di tutta la medicina generale territoriale; la separazione dei mmg dalla Fnomceo).
 
Emblematico sembra essere il tema dell’H16.
La c.d. Guardia Medica non viene più considerata un presidio territoriale  a  protezione, tutela e salvaguardia della  salute pubblica  (un presidio tipico è quello delle stazioni  dei carabinieri) ma un servizio appunto da anni definito Continuità Assistenziale. Il concetto di Continuità Assistenziale  a fronte del termine Guardia Medica  permette quindi di modificare i criteri di performance e di outcome  con l’inserimento di nuovi parametri  di valutazione gestionali ed economicistici. La “storica” garanzia di capillarità, accessibilità, uniformità e sostenibilità della GM potrebbe non essere  più sovrapponibile   ai nuovi programmi  di organizzazione territoriali.
 
Da ciò che è possibile comprendere, pare che il sistema H16 determini uno spostamento  di medici di CA, attualmente  impiegati nei turni di guardia  24-08, ad “esigenze diurne (?)”  in territori dove queste  si sono dimostrate (?) più necessarie (es.: zone metropolitane). Certi luoghi comuni narrano di mmg assenti  o non disponibili  a fronte di percentuali di accesso spontanei  ed autonomi  al PS  7,35% di codici bianchi per la maggior parte durante le ore diurne. (rilevazione locale del 2014). Senz’altro è possibile fare meglio  come in ogni cosa.  I colleghi della CA  tengono a sottolineare che l’accesso ridotto al PS durante le ore di attività della Guardia Medica potrebbe dipendere proprio dalla loro presenza sul territorio. Togliendo la CA è prevedibile  che  aumentino  gli accessi al PS (a costi maggiori).
 
Durante la fascia oraria 24-08 verrebbe  quindi  attivato, con  il sistema H16,  il servizio di emergenza territoriale ( 118) molto probabilmente anche per  i casi attribuibili ad una prestazione non di emergenziale   ma di assistenza  tipica  della medicina generale (mmg AP e mmg CA). Molte chiamate che arrivano attualmente  alla Guardia Medica  sono senz’altro  improprie  ma vengono comunque  evase.  Caricare queste chiamate al sistema emergenza-urgenza in sostituzione del sopprimendo servizio di CA significa utilizzare in modo improprio un servizio (più costoso)  correndo  il rischio di distogliere il 118 da interventi  dove la rapidità di intervento  fa la differenza.
 
Nel paese vi sono  circa 12.000 medici di CA i quali comportano una spesa  complessiva per il SSN intorno ai 300 milioni di euro all’anno a fronte di un finanziamento totale del SSN che si aggira sui 100 miliari  di euro all’anno. La CA verrebbe quindi ad incidere  per il 3% sulla spesa sanitaria complessiva. Altri conteggi riferiscono un peso del 6-7%.  
 
Ipotizzando  una popolazione  ad es. di 200.000  persone e mantenendo stabile il rapporto di un medico di CA ogni 5000 cittadini  sarebbe necessaria una pianta organica di  40 mmg di CA.  Questa organizzazione   comporterebbe   una spesa complessiva di 100.000 euro mensili cioè 0,5 euro al mese per persona.
C’è chi sostiene con sicurezza che  lo spostamento  dei mmg di CA nelle ore diurne non comporterà mai  nessuna  riduzione di posti di lavoro.
 
Altri segnalano invece l’inevitabile riduzione dei posti di lavoro ed un incremento dei costi a causa  di un aumento esponenziale degli interventi del 118 (attualmente processate dalla CA) e del necessario  rafforzamento delle  stesse postazioni del 118.
 
L’accesso al domicilio del medico del 118 non può prevedere uno stazionamento prolungato come spesso invece può fare il medico di CA che magari somministra una terapia complessa e ne attende l’effetto;  se il medico del 118 dovrà rimanere al domicilio per un tempo più lungo si finirà per inviare ad un'altra  richiesta/chiamata alla centrale del 118 una autoambulanza non medicalizzata  che  verrà utilizzata, nella maggior parte dei casi,  per un trasporto in  PS.  
 
Sia  quindi  concesso  a questo punto un mero  quesito matematico: quanti mm di CA occorrerà togliere dal servizio per poter sostenere un equipaggio dell’Emergenza? E quanti equipaggi dell’Emergenza occorreranno per supplire la soppressione del servizio di CA?  Se alla fine della storia si  dovesse  scopre che si è soppresso  un servizio e infragilito un  sistema di  assistenza  territoriale senza nemmeno  produrre un  risparmio allora si potrebbe sostenere che l’opera fatta alla comunità, al SSN e al bene comune potrebbe essere  veramente di bassa qualità. 
 
A conferma dei dubbi espressi alcune  aziende hanno previsto il mantenimento della CA  almeno nelle zone urbane (per evitare il sovraffollamento dei PS)  ma è evidente che  questa soluzione peggiora il danno iniziale  in quanto verrebbe  istituita  una grossolana discriminazione  e differenziazione  assistenziale  tra abitanti  che risiedono  nelle zone cittadine  con coloro che  vivono in  zone  periferiche, rurali o montane  decretando così la fine dell’assistenza uniforme, dei criteri distintivi del SSN e della stessa medicina generale.  
 
Qualcuno poi dovrà poi spiegare ai cittadini già molto provati e sfiduciati nei confronti delle istituzioni  come mai uno dei welfare  migliori  sia ridotto in queste  situazioni  senza motivazioni cliniche specifiche  e come mai sia diventato così complesso  accedere alle cure.  In relazione all’orario ( ad es.: 23.30 ed  alle 02), per lo stesso problema (ad esempio una colica renale, una sindrome vertiginosa acuta, una lipotimia), i cittadini dovranno imparare a rivolgersi a due sistemi di ricezione con numeri telefonici diversi e riceveranno due risposte diverse dal SSN.  
 
Al primo paziente si manderà un medico al domicilio, mentre al  secondo potrà ricevere una serie di risposte assai diverse tra loro:
  - non è nulla, stia tranquillo
  - aspetti il suo medico domattina alle 8
  - si faccia accompagnare in PS da qualcuno
  - le mandiamo una ambulanza che la porterà in PS
  - le mandiamo un medico del 118
 
Per concludere  è veramente  difficile  capire  perché  si insista nel voler istituire l'assistenza H24 laddove non è mai esistita (per gli interventi Pediatrici i medici di Guardia Medica vengono formati)  e nello stesso tempo si  intenda  smantellarla dove essa funziona  da sempre ( nella Medicina Generale con la GM).
 
E’ stato genericamente assicurato che non capiterà  ma se si dovesse assistere ad una progressiva riduzione degli occupati si produrrà anche una modifica della pianta organica e di conseguenza della massa salariale della categoria. Secondo il disegno H16 la pianta organica attuale diventa automaticamente eccessiva. Inoltre  con  la realizzazione delle  AFT e  delle  UCCP (in alcune regioni denominate Case della Salute) dovrebbero  essere i medici di famiglia a garantire la continuità  della assistenza nelle ore diurne (evasione delle richieste di  prestazioni non differibili  nelle UCCP  di riferimento delle AFT  anche con il sistema hub and spoke).
 
Che faranno quindi di giorno i medici di CA? Forse attività  più dedicate alle strutture intermedie e alle ADI? In che modo allora cambierà  la natura  stessa della medicina generale?
 
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI) Regione Emilia-Romagna 
5 aprile 2016
© QS Edizioni - Riproduzione riservata