4 aprile -
Gentile Direttore,
i recenti episodi di cronaca, avvenuti in Sardegna ed a Terni, hanno portato in primo piano i decessi per accidenti vascolari di una dottoressa e di una infermiera, due donne che avevano in comune il fatto di aver superato di qualche anno la quinta decade di vita e di essere entrambe nell’espletamento delle proprie mansioni lavorative durante il servizio notturno.
Da anni è emerso che il lavoro notturno può rappresentare un serio rischio per la salute. Nel 2015 è apparso sull’
American Journal of Preventive Medicine uno studio, svolto per ben 22 anni su 75 mila sanitarie americane, da cui è emerso che il rischio di accidenti cardiovascolari aumenta del 19% dopo che si è svolto lavoro con turni notturni in un periodo compreso tra i 6 ed i 14 anni e che tale percentuale di eventi avversi aumenta fino al 23%, se tale lavoro viene svolto per oltre 15 anni.
Tali statistiche confermano lo studio osservazionale presentato in Canada nel 2010 da
Joan Tramner una ex infermiera che, analizzando lo stato di salute di 227 dipendenti di case di Cura dell’Ontario - in una età compresa tra 22 e 66 anni - evidenziava che le donne turniste in sovrappeso, con alti livelli glicemici e di colesterolo ematici ed in periodo post-menopausale si ammalavano maggiormente di patologie cardiovascolari rispetto ad altre donne con incarichi lavorativi a carattere amministrativo ed impiegatizio.
A questi grossi rischi, per le donne turniste, si aggiunge la possibilità di sviluppare una neoplasia così come ipotizzato nel 2007 dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro di Lione che riconosceva all’alterazione dei ritmi circadiani la probabile causa carcinogenetica. Questa ultima ipotesi venne di fatto riconosciuta concretamente nel 2009, in seguito ad una importante sentenza della magistratura danese, che ha indennizzato 40 lavoratrici turniste notturne ammalatesi nel tempo di cancro al seno.
Nella nostra Sanità, il personale presenta un’età media di circa 50 anni e svolge lavoro notturno a ritmi sostenuti per via del blocco del turn-over e ciò soprattutto a carico di quelle regioni, come le meridionali, vincolate ai piani di rientro e pertanto particolarmente sottoposto alle incombenze del lavoro notturno.
Va detto che il D.Lgs. 66/2003, all’art.11 del tit. IV, regolamenta lo stesso lavoro notturno, dando mandato alle competenti strutture sanitarie pubbliche di accertare l’inidoneità ad eseguire le prestazioni nella fasce orarie notturne. I contratti collettivi, poi, stabiliscono i requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall’obbligo del lavoro notturno. In ogni caso è vietato adibire la donna al lavoro dalle ore 24 alle ore 6, dallo stato di gravidanza accertato e fino al compimento di un anno di età del bambino.
Ulteriori tutele sono state poi apportate dal Job-Act del 2015 a favore della lavoratrice madre e della genitorialità nel suo complesso. L’art. 28, comma 1 del dlg. 81/2008 prevede, poi, che nel nostro Paese il datore di lavoro abbia il dovere di valutare i rischi lavorativi connessi alle differenze di genere, con l’obiettivo di tutelare le donne in tutte le fasi della propria vita.
Ci chiediamo, quindi, se non sia necessario regolamentare in maniera più oggettiva e meno discrezionale il numero delle notti in turno, che possono essere mensilmente ed annualmente svolte dalle lavoratrici - over 50 - onde evitare seri rischi per la salute di genere e se, allo stesso tempo, sia necessario incrementare gli studi epidemiologici per l’acquisizione di nuove evidenze in tale sensibile e delicato settore.
Dott.ssa Maria Ludovica Genna
Dott. Domenico Crea
Osservatorio Sanitario di Napoli