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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Lettere al Direttore

Infermieri. Togliere l’art. 49 del Codice? Sì, ma non basta

di Marcella Gostinelli
16 gennaio - Gentile direttore,
ho letto l’appassionata lettera del collega Luca Sinibaldi “Infermieri. Ecco perché va abolito l’art 49 del codice deontologico”. Prima di tutto vorrei ringraziarlo per aver scritto e per averlo fatto con autenticità e tra un servizio e l’altro. Condivido quello che dice in particolare là dove scrive che sono spesso i dirigenti infermieristici aziendali a fare scempio delle norme deontologiche ed anche quando chiede alla Presidente Mangiacavalli il perché di tutto questo se lei stessa scrive di “un uso improprio di norme deontologiche scritte per le emergenze a tutela degli assistiti.” Almeno Mangiacavalli lo dice.

Io penso che la ex Presidente Silvestro, invece, ritenesse di non avere nulla da rimproverare ai dirigenti infermieristici; questi, secondo la cultura dominante nelle Aziende e professionale, debbono fare quello che le Direzioni generali decidono. Se si parla con qualche dirigente infermieristico di Azienda, infatti, dice che non può andare contro l’Azienda e per la maggior parte di quella categoria di infermieri dirigenti sembra che, per cultura, mostrare spirito critico, anche nei contesti giusti, significhi andare contro l’Azienda e non fare il proprio dovere, come in questo caso. Mangiacavalli eredita questa cultura e credo che cambiarla sia per lei difficilissimo proprio perché ormai cultura e perché chi quella cultura l’ha voluta è ancora li o perché forse anche Lei pensa cosi..

L’atteggiamento, dimesso, degli infermieri dirigenti nei confronti dei loro superiori, politici ed aziendali, ma anche di rappresentanza, sembra essere lo stesso di quello degli infermieri nei confronti di chi li dirige e li rappresenta ed è lo stesso della maggior parte dei Presidenti di Collegio nei confronti del Comitato centrale, a giudicare dai risultati; questi Presidenti vengono definiti, da alcuni, “a libro paga” proprio perché sembrano essere sempre in linea con la Federazione nazionale anche nei contesti in cui si dovrebbero e dovrebbero porre domande o chiarimenti o dare suggerimenti. Per tutti questi soggetti, vittime e carnefici, un pensiero diverso da chi decide è ritenuto un pensiero ribelle, un pensiero contro; chi ha un pensiero diverso è da un’altra parte , non fa più parte dei giochi, quindi non è conveniente avere un pensiero diverso. E fin qui tutto potrebbe anche essere comprensibile, quello che non si comprende invece è perché, come dice giustamente Luca, la Federazione non sia mai intervenuta , a cascata, richiamando gli infermieri dirigenti al rispetto della deontologia, per il bene del malato

Mi chiedo: “rimanendo cosi le cose , per i malati ed i cittadini e per gli infermieri di medicina, chirurgia e di altri reparti serve che in una azienda vi sia un Servizio infermieristico? E se si, a cosa serve, quali sono i prodotti ?E se no ,i prodotti/non prodotti di quel Servizio a chi servono? Rimanendo cosi le cose, in termini di “appropriatezza sovrastrutturale e strutturale” (Cavicchi, 2016) non potrebbero sembrare solo un costo ? Dire, però , che le cose sono così perché il momento è critico e non ci sono risorse è chiaramente una menzogna perché per la maggior parte dei dirigenti infermieristici il comportamento è sempre stato quello di impedire lo sviluppo delle vere competenze infermieristiche. Impedire o non favorire hanno lo stesso peso in termini di risultato.

Per sviluppo di competenze intendo lo sviluppo della legge 42 del 1999. Sembra, infatti, che i dirigenti infermieristici non abbiano mai sostenuto l’infermiere ed il suo sviluppo professionale. Il perché si evidenzia da solo: perché quella degli infermieri generalisti è una condizione senza potere e senza dominio; ma non hanno neanche saputo sostenere la loro condizione perché hanno dimostrato di usare una razionalità non propria , della categoria, ma di altri e quindi priva di autonomia intellettuale. Ma allora ,che dirigenza è? D’altra parte, la stessa nota del comitato degli infermieri dirigenti su questo quotidiano dimostra che quello che dico è vero in quanto attribuiscono ancora ai medici o all’intersindacale medica la colpa della nostra mancata crescita professionale.

La mancata evoluzione scientifica di cui parlano, pretesa come diritto, dipende dalla nostra dirigenza, che non richiede agli infermieri e non predispone affinchè possano fare ricerca o la si possa applicare nella clinica assistenziale, e non dal medico e per quanto riguarda il diritto alla managerialità non è certo colpa dei medici se non abbiamo curato le relazioni che intercorrono fra la componente scientifica e quella socioculturale che costituiscono la nostra professione.

Ora, per esempio, dovremmo rincorrere l’autonomia di giudizio invece di rincorrere tecniche da paramedico, che potrebbero essere acquisite naturalmente mediante addestramento e formazione in contesti che culturalmente lo consentono e in situazioni di cura che lo richiedono, ma non lo facciamo.Il modo di intendere la scienza sta infatti cambiando , in quanto nella conoscenza della malattia si include anche la conoscenza del malato e qui l’infermiere potrebbe essere appropriato. Potremmo per esempio smetterla di insegnare all’università, un esempio per tutti i possibili altri esempi, il rifacimento del letto e concentrarsi su come affrontare la cultura dell’autodeterminazione del cittadino, del suo valore come persona, come porsi di fronte ai costi della medicina difensiva e portare proposte progettuali plausibili e congrue con quanto serve al cittadino , alla professione ed anche alla medicina ed alla sanità più in generale. Parlare insomma di cose nuove, il comma 566 di nuovo non ha proprio nulla.

Luca Sinibaldi chiede alla Presidente Mangiacavalli di abolire l’articolo 49 del codice deontologico e le bisbiglia che “ciò che muove un’identità non è un fatto meramente tecnico, ma un sentimento che va riconquistato”. Io sono d’accordo e penso anche che per riconquistare quel sentimento non sia sufficiente togliere l’art. 49 del codice, certo aiuterebbe, ma non è sufficiente. Io chiederei alla Presidente di chiarirci tutti insieme le idee sulla strategia professionale possibile: quello che dovrebbe essere l’infermiere, che competenze dovrebbe avere, che abilità, quali autonomie, che genere di servizio assicurare, che tipo di sapere possedere, che genere di malato considerare,con queste idee chiare relazionare con i medici e con la loro rappresentanza e poi cambiare tutto il codice deontologico; per “tutti insieme” intendo anche gli infermieri, quelli sconosciuti, non solo con i soliti gruppi di lavoro costituiti con criteri sconosciuti, ma intuibili.

Cambierei tutto il codice e non solo l’articolo 49 perché togliere solo l’art. 49 significherebbe togliere solo la componente “fisica” del demansionamento, ma non la sua componente “strategica” il pensare demansionato. Penso per esempio al concetto di appropriatezza che l’infermiere, con l’attuale codice, art.10 e 47, dimostra di avere; è un concetto che si limita a considerare “l’uso ottimale delle risorse lasciando intendere che ci si limiti alla appropriatezza economica” (Cavicchi, 2016) senza considerare che un malato che non viene alzato nel post operatorio a causa di un uso ottimale delle risorse (secondo tagli, demansionamento, organizzazioni tayloristiche) è vittima di una “inappropriatezza appropropriata” e quell’infermiere, che non può alzare quel malato, ma dovrebbe, è un infermiere inadeguato rispetto a ciò che dovrebbe fare per essere infermiere e quindi per quel malato, adeguato rispetto a ciò che gli fanno fare, incoerente con gli altri articoli del codice e in contraddizione con lo stesso articolo 10 dove oltre all’uso ottimale delle risorse si chiede, contemporaneamente, all’infermiere, di rendere eque le scelte allocative.

Eque per quale malato o rispetto a quale malato, nel caso di un malato non alzato nel post operatorio per mancanza di risorse? Oppure penso all’utilizzo del termine assistito per riferirci al malato, considerando il malato come già egli stesso non si considera più; l’art.6, poi, è un articolo poco o niente declinato in attività concrete soprattutto per quanto riguarda la prevenzione e che andrebbe invece rispettato oggi più che mai, senza dover contare solo su bandi europei. L’articolo 12 in particolare è privo di vita, ed anche questi privi di vita demansionano e tolgono valore ad una professione.

Per riformare i codici credo che si debba prima capire chi dovremmo essere, chi siamo e quindi capire che è necessario cambiare , ma soprattutto per riformare bisogna avere le idee chiare. Le idee chiare non sono quelle che ognuno ha separatamente .Le riforme non si fanno a tavolino o non si fanno da soli neanche quando si crede di essere gli unici a poterlo fare, le riforme si fanno con gli infermieri, ascoltandoli tutti ,ed a questo proposito incoraggio gli infermieri ad esprimersi cosi come ha fatto bene il collega Luca Sinibaldi che ringrazio ancora.

Marcella Gostinelli
Infermiera, Dirigente sanitario Centro oncologico fiorentino
 
16 gennaio 2016
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