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QS Edizioni - sabato 17 agosto 2024

Lettere al Direttore

I medici non chiedono l’impunità ma solo di essere giudicati se (e solo se) sbagliano

di Mario Campli
13 dicembre - Gentile direttore,
non vorrei sembrare noioso riprendendo per l'ennesima volta il problema della responsabilità professionale, ma non posso esimermi dal replicare al "collega" Carmelo Galipò (il virgolettato è d'obbligo, e si capirà più avanti il perché) quando scrive che "al cittadino non servono medici impunibili, ma di qualità".

L'ortopedica Mirka Cocconcelli e il chirurgo Gregorio Maldini, delle cui lettere condivido completamente i contenuti, hanno espresso due diversi tipi di disagio che non sono affatto antitetici come vorrebbe far supporre il Dott. Galipò, ma sono ampiamente vissuti da tutti i medici che praticano la loro attività in camera operatoria. Giustamente, scrive il Dott. Galipò, scrivere di un argomento presuppone conoscerlo bene, altrimenti si rischia di fuorviare e fuorviarsi. Purtroppo devo constatare che il Dott. Galipò, pur essendo medico, non è un "collega", perché è evidente che non riesce a cogliere il punto essenziale della situazione di chi oggi lavora in camera operatoria. Scambiare l'auspicio di poter lavorare con serenità e tranquillità per un desiderio di "impunità" è grottesco, e conferma ai miei occhi quanto i medici legali siano molto meno "medici" e più "legali", ovvero che colgano un aspetto parziale della situazione, da un punto di vista, lo stesso degli avvocati, che forse non è il più adatto a farsi un quadro complessivo della realtà.

La cosa che più mi meraviglia è che al Dott. Galipò non dovrebbero essere ignoti i numeri del contenzioso medico-paziente: se solo una minima frazione dei chirurghi colpiti da avviso di garanzia viene poi chiamata in giudizio ed infine condannata, si dovrebbe comprendere facilmente che i chirurghi non chiedono l'impunità: i chirurghi non vogliono sottrarsi al giudizio, ma vogliono essere giudicati se (e solo se) sbagliano. Le complicanze di un atto chirurgico esistono, e spesso si manifestano indipendentemente dall'operato del chirurgo, anzi, si verificano nonostante il chirurgo abbia fatto tutto quello che umanamente si poteva fare per guarire il malato. Io non voglio essere giudicato per le complicanze, ma solo per i miei errori, e questo non significa augurarsi di diventare "impunibile".

Purtroppo la biologia e la medicina non funzionano come la fisica: data una palla e un cannone, una volta sparato il colpo è molto facile calcolare esattamente dove finirà, è solo una questione di vettori, velocità, attrito, forza di gravità. In biologia e in medicina invece le variabili si moltiplicano a dismisura, alcune ci sono del tutto ignote, di altre non abbiamo alcun controllo: prevedere come andrà a finire non è più un fatto "certo", diventa una questione di statistica. Se una tecnica chirurgica, anche eseguita allo stato dell'arte, è gravata da una certa percentuale di fallimenti, questo dato è utile al chirurgo per preferire quella tecnica ad un'altra: ma dovrebbe essere utile anche al paziente per capire che il chirurgo non può avere il controllo totale, puntuale, preciso di ogni cosa, e che per quanto si sforzi per il bene del paziente esiste sempre un'alea di incertezza sul risultato. Eppure oggi nel comune sentire quando qualcosa va male c'è sotto per forza un "responsabile", un "colpevole"; e siccome in Italia la responsabilità penale è personale, può venire condannato solo l'ultimo malcapitato che rimane con il cerino acceso in mano, non importa chi ha dato fuoco al cerino, non conta in quanti se lo sono passato senza riuscire a spegnerlo.

Quasi mai l'evento avverso è frutto di un singolo macroscopico errore: il più delle volte c'è una serie di concause, una vera e propria "catena di eventi", ciascuno apparentemente innocuo, che conduce alla catastrofe. Ma invariabilmente è solo il chirurgo che, alla fine di questo processo, è chiamato a rispondere, e il medico legale a individuare un semplice (forse semplicistico?) rapporto di causalità tra il supposto operato del chirurgo e l'evidente danno patito dal paziente, che in questa visione "legalese" delle cose deve essere scaturito necessariamente come effetto di una precisa causa antecedente.

Se come si sente spesso dire la gran parte degli errori in sanità sono colpa di gravi problemi organizzativi, è giusto o logico chiamare i chirurghi a risponderne? Io credo di no, e non credo che questo coincida con un desiderio di "impunità".

Ma non mi sarei atteso una critica diversa dal Presidente di una associazione che fa dello "sviluppo di una maggiore consapevolezza del cittadino danneggiato" la sua mission, e promuove attivamente su un giornale online con consulenze gratuite di  medici legali e avvocati il "business" del contenzioso medico-paziente.
 
Mario Campli
Specialista in chirurgia d'urgenza e pronto soccorso - Roma  
13 dicembre 2015
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