1 ottobre -
Gentile direttore,
le scrivo, in riferimento al decreto appropriatezza, per esprimere la mia solidarietà ai medici italiani, a tutti i cittadini ed al Servizio sanitario nazionale. Mi rendo conto che il mio parere, individuale, possa servire davvero a poco, ma ho preferito comunicarlo piuttosto che tacere.
Sono una infermiera e come più volte ho scritto vorrei lavorare con un medico dal giudizio autonomo, che giustifica con le conoscenze la cura giusta e che pertanto non sia controllato e regolato da chi deve solo giustificare i costi della cura o da chi utilizza lo strumento moderno del contenzioso medico legale perché ha perso il rapporto con i servizi sanitari e contro di essi protesta.
Per il lavoro che faccio mi serve che ci si riferisca ad un concetto di appropriatezza che permetta di tener conto anche del tipo di medico e di malato. Parlo cosi perché sento che la politica, chi ci amministra, fa riferimento ad un concetto di appropriatezza che non corrisponde al concetto utilizzato da chi cura. E’ una appropriatezza che serve le finanze e non il medico e che
come dice bene il direttore Fassari riferendosi al decreto in questione“ (…..)” nasce da una manovra economica per fare cassa e non per finalità scientifiche”.
Non tutti i malati che portano una malattia oggettiva sono uguali; i bisogni sono differenziati perché portati sempre da identità differenziate . Due malati di cancro sono diversi anche se hanno lo stesso cancro. Ma la diversità non è una qualità connaturata della persona malata, si scopre solo attraverso la relazione ed è ingiusto etichettarla per giustificare la scelta di una prescrizione adeguata seppur non appropriata , deve solo essere compresa e rispettata.
L’infermiera, più del medico, viene a conoscenza di elementi relativi anche ai vissuti, alle condizioni di vita, ai processi sociali della persona sana o malata che ha di fronte ed è proprio questa conoscenza che fa capire come il malato si è “dato forma”, o non si è ancora “dato forma”, in quella malattia. Questo sapere, meno scientifico, più relativo, se acquisito, permette di conoscere di più e meglio il malato per cui può accadere che quello che è più appropriato per un malato non sia a lui adeguato e doverlo giustificare è mortificante e discriminante . La cura pedagogica infermieristica in questo potrebbe aiutare tanto favorendo l’esercizio di una clinica più relazionale che osservazionale.
Pensate per esempio alla conoscenza, acquisibile da parte di un infermiere, relativa al concetto della “qualità di vita” che un malato o un sano ha; se considerato , quel concetto, può assumere significati diversi da malato a malato e può permettere dunque approcci diversi, sebbene lo stesso supportati da ottime conoscenze scientifiche e relative. Se di questi elementi ne fossimo più a conoscenza, grazie ad organizzazioni pensate e volute per saperne di più, avremmo anche meno problemi di medicina difensiva e conseguentemente meno prescrizioni inadeguate e meno contenzioso. Oppure pensate all’esercizio infermieristico di comunità, permetterebbe di conoscere da vicino i reali bisogni delle persone di quella comunità anche quelli sommersi, conoscenza che assicurerebbero interventi appropriati ed adeguati per quei cittadini conosciuti.
In ogni caso la nozione di appropriatezza di un medico e di una infermiera non sarà mai la stessa di coloro che considerano e giudicano il medico semplicemente come colui che può fare prescrizioni inappropriate e pertanto da punire.
Come dice Cavicchi “se il medico è inattendibile come soluzione allora la sua inattendibilità è il problema da risolvere”. Troppo semplice il ragionamento che parte dal limite d’ inattendibilità del medico per voler essere politico; come cittadino consapevole mi sarei aspettata un discorso più profondo , più articolato del solito spreco nelle prescrizioni senza alcun cenno sul perché , più forte ,più di carattere vista la posta in gioco.
Non si può fare un decreto cosi, perché i medici sono giudicati inattendibili, ed allo stesso tempo dichiarare in televisione, come ha fatto ieri sera il Ministro Lorenzin a Ballarò, che bisogna fidarsi del medico. Un simile atteggiamento è disorientante e perciò allarmante per un cittadino consapevole .Per un cittadino poco informato invece è fuorviante.
Un ragionamento di carattere avrebbe portato l’attenzione sui perché degli sprechi e su tutte le forme di spreco non solo su quelle più comode da affrontare.
Lo hanno detto in molti e lo voglio dire anche io: l’aver messo sanzioni per il medico che prescrive senza appropriatezza e con una nozione di appropriatezza che risponde bene ai criteri amministrativi, finanziari dimostra pochezza politica ,ma arroganza e sembra anche sprovvedutezza. Se la politica comunica con questa semplicità non fa che aumentare il sentimento di sfiducia dei cittadini,questa volta non tanto verso i servizi , quanto verso i medici stessi , ed i costi della medicina difensiva aumenteranno sempre di più.
La cosa brutta che accade e per la quale dichiaro solidarietà ai cittadini è che si sta determinando la perdita di un diritto alla salute assoluto per giungere ad uno stato di diritto relativo ( che è una contraddizione) senza mai aver seriamente preso in considerazione i reali fattori sociali,culturali, antropologici , organizzativi e morali che portano a situazioni di spreco o ad atteggiamenti antieconomici.
La politica è davvero lontana dal mondo della sanità e dei cittadini, lo si capisce dai decreti e dai rimedi ai decreti .Nessun politico dimostra di avere la volontà di capire quali sono i reali problemi e di conseguenza cambiare.
L’approccio al mondo della sanità è frettoloso, arrangiato e mortificante.
La mediazione possibile a cui ha fatto riferimento il Presidente del Consiglio Renzi, circa le sanzioni e quindi il togliere le sanzioni, non sarebbe , a mio avviso, la soluzione necessaria; non è sufficiente per rimediare. La premura dimostrata dal Responsabile sanità del PD Federico Gelli, dichiarando il suo impegno nel portare a termine il ddl sulla responsabilità medica “per contrastare il fenomeno della medicina difensiva ”, e via dicendo, dimostra che si vuol trovare solo una soluzione sommaria che non risolverà nulla. Per porre fine al fenomeno dello spreco di miliardi di euro per esami inutili occorrerebbe ben altro e molto di questo altro è stato detto, scritto ed anche da persone autorevolissime e rispettabili , ma manca la volontà di ascoltarle e di cambiare.
Dire ai cittadini che con questo decreto si porrà fine alle liste di attesa è però , a mio avviso, non vero, oltre che pericoloso, ribadisco.
Vorrei che tutta la professione infermieristica fosse vicina ai medici in questo momento difficile per dare loro più forza e sostenerli nel promuovere un cambiamento paradigmatico della professione medica doveroso e non più rinviabile. Occorrerebbe che i medici si contrapponessero con un vero pensiero riformatore, un progetto riformatore pensato e gestito da chi cura insieme…questo si che cambierebbe davvero le cose e aiuterebbe moltissimo anche noi infermieri che in quanto a un vero progetto riformatore siamo scalzi e ignudi.
Marcella Gostinelli
Infermiera, Dirigente sanitario