12 agosto -
Gentile Direttore,
ho seguito con particolare attenzione gli interventi del
Dr. Tartaglia e del
Dr. Tulli aventi oggetto la "medicina difensiva" e l'incidenza che il rafforzamento delle dinamiche di Team Working nelle realtà operative potrebbe avere sul fenomeno. Per quanto il tema della medicina difensiva, o come viene definita da alcuni la "medicina dell'osservanza giurisprudenziale", sia un fenomeno specificatamente medico, in quanto si riferisce a decisioni diagnostiche/terapeutiche cliniche, credo che l'argomento possa fungere da stimolo per un possibile contributo anche dal punto di vista infermieristico.
Sono convinto che qualunque decisione venga presa dagli attori coinvolti in quel percorso che è il processo di cura - di cui sono parte integrante il processo terapeutico, quello assistenziale, il processo di self-care della persona ed il supporto della famiglia coinvolta solo per citare i più evidenti- non possa che giovarsi del confronto e della condivisione di prospettive differenti quali quelle proprie delle diverse professioni sanitarie coinvolte e , che in definitiva, esse possano contribuire a rafforzare quel processo, e non indebolirlo. Volendo citare Jane Salvage, "per decadi siamo stati abituati a identificare il dottore-padre, l'infermiera-madre ed il paziente-figlio...ma (per affrontare i cambiamenti delle professioni e della società avvenuti negli anni) è necessario che una parternship a tre sostituisca questo ormai insoddisfacente modello famigliare".
Superare un modello di questo tipo, cementato in egual maniera nella cultura medica ed in quella infermieristica, e che possiamo annovare tra i fattori che hanno ostacolato lo sviluppo del team working a favore di una persistente concezione individualistica e settoriale, non è, nè sarà, un obiettivo semplice. Tuttavia vi sono i presupposti per riuscirci: ciò che i professionisti medici ed infermieristici- cito loro per lo stretto rapporto esistente tra le due professioni sia a livello ospedaliero che territoriale - stanno comprendendo, è che nel processo di cura, ogni disciplina è "integrata", cioè interconnessa l'una all'altra, ed il fallimento di uno dei percorsi, sia esso assistenziale, terapeutico o di compliance alle cure, può determinare l'insuccesso dell'intero processo a discapito di tutti gli attori coinvolti, in primis la persona in carico ai professionisti sanitari.
Lo stesso dibattito nato intorno al "comma 566" rappresenta una grande opportunità di sviluppo del rapporto tra la professione medica e quella infermieristica; la Presidente FNC IPASVI Dr.ssa Mangiacavalli ha in più occasioni aperto al confronto ed alla mediazione con i rappresentanti istituzionali della professione medica, facendosi portatrice di quella spinta alla maturazione ed alla integrazione multiprofessionale, nel pieno rispetto dei ruoli propri di ogni professione coinvolta, che deve essere alla base di ogni modello funzionale di Team Working.
Laddove tale modello di cooperazione ed integrazione interprofessionale si realizzerà, è ipotizzabile che alcune di quelle decisioni diagnostiche/terapeutiche proprie della "medicina difensiva" (penso ad esempio alle decisioni riguardanti il fine vita, alla gestione delle cronicità e fragilità presenti sul territorio o ai complessi processi decisionali propri delle Terapie Intensive) diventino per certi versi l'atto finale di un percorso condiviso, e che come tali siano destinati a perdere la connotazione di individualità; di fatto, acquisiranno un reale valore "patient-oriented" e non più "defensive-oriented".
Seppur consapevole che l'argomento "medicina difensiva" non possa esaurirsi, per la complessità della sua genesi e delle sue ramificazioni che recentemente anche la Commissione Ministeriale ha evidenziato, con queste considerazioni, rimango dell'idea che dalla maturazione a più livelli dei processi professionali e relazionali che definiscono il rapporto tra le professioni sanitarie, possa nascere un contributo all'argomento in oggetto.
Michele Borri
Presidente Collegio IPASVI della Provincia di Pavia