7 agosto -
Gentile direttore,
ho letto l’interessante e lucido commento di
Nursind al modello dell’Ipasvi sulla evoluzione delle competenze avanzate .Mi piace il modo con cui Andrea Bottega (Nursind nazionale) prende in mano la questione. Come dargli torto, con quali argomentazioni? Mi permetto di inserirmi per sostenerlo.
Penso che questo documento, analitico, critico e propositivo insieme sia stato più che mai opportuno per più motivi:
1) perché il metodo usato per la realizzazione del progetto è un metodo sbagliato, che ci ha portato su una strada pericolosa e chiusa, volto a preservare il pensiero unico e che continua a ripetersi con i suoi errori: aumentare la distanza tra chi lavora e chi decide per loro senza di loro;
2) perché far nascere una guerra tra medici ed infermieri in un momento difficile come questo, dove i professionisti chiedono di essere aiutati, dove il nostro Ssn “finisce”, ritengo che sia paradossale. Mi duole dirlo, lo dico con imbarazzo, lo avevo già detto in precedenza (
QS, 19 aprile 2012), ma questa guerra poteva essere evitata saggiamente e strategicamente adottando un altro metodo. Il conflitto fra le professioni esiste perché i professionisti non sono più quelli di ieri e per questo occorre, urgentemente, contattarli e ridefinirli. Uno studio di fattibilità serio, precedente la presentazione ufficiale del progetto sull’evoluzione di competenze, avrebbe evidenziato l’assenza di attività progettuali, preliminari, determinanti ai fini del raggiungimento dell’obiettivo: cercare un accordo con i medici. Se, infatti, nel razionale del progetto, si fosse ragionato pensando che per il nuovo malato serviva un nuovo infermiere e che cambiando l’infermiere sarebbero conseguentemente servite nuove relazioni con il medico, avremmo dovuto inserire fra i portatori di interesse anche il medico, a prescindere dai problemi del medico, e nell’interesse degli infermieri. Entrambi i progetti di cambiamento, quello medico con l’esigenza di definire l’atto medico piuttosto che il medico, e quello infermieristico, ad un progettista, neanche troppo bravo, sarebbero subito apparsi forieri di fallimento , se l’obiettivo era quello di evolvere professionalmente. Si sa, infatti, che non si cresce più da soli, non si è mai cresciuti da soli.
3)perché quel progetto non permette di sperare in una svolta ideologica, politica per gli infermieri e la professione, come invece sembra manifestare. Con quel progetto si acquisiranno nuove competenze tecniche che non permetteranno però di risolvere in alcun modo i problemi che gli infermieri hanno nella realtà; rimarremo una professione senza potere, cioè senza la capacità relazionale di influenzare asimmetricamente altri attori, perché la professione è svolta da infermieri, che lavorano nella quotidianità clinica, che non possono spendere i propri valori in istituzioni( lavorative e di rappresentanza) che non istituzionalizzano quei valori, e quindi dove non c’è relazione tra gli infermieri e quelle istituzioni, e da infermieri ( dirigenti lavorativi e di rappresentanza) che credono che il potere sia un attributo, una qualità connaturata della persona e non una relazione tra chi detiene il potere e chi è soggetto a quella detenzione. Con questo progetto si vuol far credere di assumere un atteggiamento corporativo, che pure agli infermieri servirebbe, quando corporativo non lo è, a partire dal metodo, perché non contempla il pensiero di chi dovrebbe formare il corpo, e quando si sa che il corpo è composto da più organi.
Nel commento di Bottega si avverte un discreto, sobrio richiamo alla ragionevolezza, all’uso di una volontà che cerchi di ridurre quella distanza di cui sopra parlavo e ricomporre ciò che è stato separato e provare a redistribuire un potere professionale capace di mettere in relazione tutta la comunità infermieristica e questa con le istituzioni. Per farlo è necessario che il progetto esca dai luoghi chiusi dove di solito si progetta e nasca là dove esiste il bisogno di progettare, di innovare, nella comunità. È necessario che si dia l’opportunità di influenzarsi reciprocamente perché il potere non è mai assoluto anche quando sembra che lo sia. E allora perché non recuperare errori fatti da altri in precedenti spazi di potere decisionale ed in altri tempi ? Perché non iniziare ad aprire strade chiuse invece di chiudere anche le collaterali?
Apprezzo in Nursind la volontà di cercare nuove relazioni, come quelle sindacali che propone, che dovrebbero aiutare medici ed infermieri a trovare un intesa su “quel nuovo modo di intendersi” e da li anche nuove forme contrattuali; dopo solo dopo, a livello organizzativo, questo nuovo genere di infermiere e di medico, dovrebbe potersi spendere in nuovi modelli e nuove organizzazioni non più frammentate, divise, separate, ma interconnesse. Cavicchi nel libro curato da Chiara D’Angelo, ‘il Riformatore e l’infermiere’, parla di costruzione dell’infermiere rinunciando ad una logica unilineare. Credo che il salto evolutivo, per medici ed infermieri, consista prioritariamente in questo atteggiamento non tanto di rinuncia a ciò che preme in termini di utilità singola, ma di scelta per ciò che produce utilità plurali. Formare un nuovo corpo, formato da medici ed infermieri insieme.
La nuova Presidente Barbara Mangiacavalli ha dimostrato più volte in questo breve tempo di essere ‘vitale’, puntuale nelle diverse vicende di attualità che riguardano gli infermieri e non solo, ha, insomma, dimostrato cenni di cambiamento o perlomeno di essere presente con un nuovo concetto di presenza. Sono convinta che vorrà fermarsi a riflettere sulle domande legittime che Bottega pone nel suo documento e relative alle questioni di ‘metodo’ e di ‘merito’ progettuale. Io penso che dovrà farlo perché sono le domande che si pongono gli infermieri; spero che voglia, finalmente, dare avvio a quel processo di consultazione discorsiva dei Suoi infermieri che nell’intervista su Infermieristicamente di Chiara D’Angelo definii ‘Consensus meetin’ e che dovrebbero portare agli Stati generali.
Dopo gli Stati generali le due Presidenti, Mangiacavalli e Chersevani, potrebbero pensare ad un accordo , non prima.
Marcella Gostinelli
Infermiera