31 gennaio -
Gentile direttore,
intervengo spesso, nell’ambito di eventi organizzati da associazioni di categoria medica, sulla condotta da tenere per (tentare di) evitare denunce penali o citazioni in giudizi civili. Inizio col dire sempre la stessa cosa: lo spauracchio penale è poca cosa rispetto a quello civile, giacchè, in termini statistici, il rischio di vedere il proprio patrimonio aggredito a seguito di una sentenza di condanna civile, è di gran lunga superiore rispetto alla remota possibilità di soccombere in sede penale.
Sono le stesse associazioni a “tutela” della classe medica ad urlare, nel corso di eventi per lo più autoreferziali, come “circa il 98% delle denunce penali si concluda con un assoluzione e/o proscioglimento”, tacendo invece sull’alta percentuale di condanne che definisce oltre il 60% delle citazioni in giudizio. Dati ufficiali attendibili non ve ne sono, ma sulla base della mia esperienza mi sento di affermare che, stante la natura contrattuale della responsabilità medica che impone al medico/struttura l’onere di dimostrare di aver tenuto una condotta diligente, prudente e competente, la maggior parte delle cause vengono perse a causa della superficialità con cui, nel terzo millennio, vengono compilate le cartelle cliniche, soprattutto in certe regioni italiane. Grafia indecifrabile, dati clinici mancanti, moduli di consensi informati lacunosi o assenti, hanno come diretta conseguenza la sconfitta processuale, seguita da azioni esecutive esperite, sempre più frequentemente, nei confronti del medico personalmente.
Infatti, l’ assenza di norme che prevedano l’obbligo di copertura assicurativa per le strutture sanitarie e/o la malleva del medico da parte delle stesse, unitamente al cronico stato di decozione in cui versa la maggior parte delle strutture pubbliche italiane, fa si che, sempre più frequentemente, il cittadino “danneggiato” se la prenda direttamente con l’operatore sanitario. Allora, piuttosto che tirare fuori la solita solfa della medicina difensiva – a volte salvifica, più frequentemente nociva - sarebbe il caso che le associazioni di categoria cominciassero a spiegare ai propri iscritti come una cartella ben tenuta o un consenso informato correttamente raccolto, possano ridurre sensibilmente il rischio di contenzioso civile. Ma è un argomento che, fa storcere la bocca alla platea. Molti medici ritengono secondario l’aspetto della compilazione del diario clinico, ed è comprensibile: chi trascorre dieci ore in sala operatoria non ha né le energie né la voglia di fare il burocrate.
Fatto sta che una cartella clinica compilata male fa perdere le cause. La soluzione? La materia è un letto di Procuste: è’ da oltre un ventennio che gli esperti di risk management si confrontano sulle possibili alternative che va dall’automatizzazione dei processi all’istituzione di una figura dedicata alla compilazione. La vita quotidiana negli ospedali insegna che ogni soluzione studiata a tavolino si è rivelata fallimentare: Non resta, dunque, che utilizzare il buon senso e sensibilizzare la classe medica, soprattutto le nuove leve, sull’importanza apicale di un documento correttamente redatto.
Avv. Franceco Lauri
Presidente Osservatorio Sanità