9 settembre -
Gentile direttore,
il dottor Alessandro Vergallo, presidente nazionale di Aaroi,
interviene su Quotidiano Sanità del 3 settembre sulla vicenda da me sollevata della direttiva dell’Areu Lombardia relativa al ruolo e allo status di medici e infermieri in ambulanza.
Vergallo sottolinea che contro il documento emanato da Areu “si sono levate voci che si sono appellate in modo vario quanto stranamente collimante, nell’ordine, al ruolo prezioso del mondo del volontariato in sanità, alla legittimità giuridica del provvedimento, ad una altisonante difesa della deontologia professionale della categoria medica e di quella infermieristica, oltre a voler scongiurare nefaste conseguenze a danno dei cittadini”.
Si tratta di un documento – ha sottolineato il presidente nazionale Alessandro Vergallo – che non cessa di suscitare un clamore di cui l’associazione non comprende le reali motivazioni”.
Essendo stato il sottoscritto a sollevare la questione – Vergallo non ha l’eleganza
di citarmi ma solo di criticarmi – trovo importante dovere replicare al presidente il quale sostiene di non comprendere il clamore che continua a esserci sulla ormai famigerata “Direttiva 100” di Areu. Il presidente Aaroi si stupisce, evocando la dietrologia, delle critiche unanimi - ad eccezione della sua ovviamente - del sottoscritto che ha operato l’analisi giuridica, del mondo professionale, della deontologia e, il dottor Vergallo non lo dice, anche di altra sigla sindacale medica, lo Ssmi. Proverò a tranquillizzare il presidente Aaroi: le critiche “stranamente collimanti” ci sono state perché
la direttiva 100 di Aaroi è sbagliata. Tutto lì, nessuna particolare congiura.
Vergallo afferma che le regole Areu “appaiono adeguate. Anzi, quantomai opportune, a condizione di saper leggere e comprendere quanto chiaramente scritto”.
Credo di sapere leggere, come la totalità dei lettori di Quotidiano Sanità, solo che arrivo a conclusioni radicalmente diverse. Il problema non è quindi la lettura ma l’interpretazione che della lettura del documento Areu possiamo dare. In questa sede ribadisco quanto scritto e che non vedo confutato da Vergallo. Il “documento 100” si pone come documento di carattere autoritario e autoreferenziale quasi che l’Areu possa avere compiti di regolamentazione dell’esercizio professionale con una chiara impronta di quella “medicina difensiva” che tutti a parole vogliono combattere ma che riemerge costantemente.
Areu è preoccupata per se stessa e tradisce la costante paura per azioni legali contro di lei e ritiene di tutelarla attraverso l’allontanamento delle competenze e dei competenti. Mi sarei aspettato dal presidente di un sindacato di medici specialisti una presa di posizione diversa come hanno fatto altre sigle sindacali, soprattutto dove Areu scrive di non ritenere “opportuno che tali professionisti effettuino attività di volontariato a bordo dei MSB operanti nel sistema, poiché tale eventualità potrebbe comportare difficoltà organizzative e operative al sistema e nella gestione dei singoli eventi”.
Areu preferisce esecutori non pensanti, soggetti non in grado di operare valutazioni direttamente sul campo (e non solo al telefono), soggetti capaci di interloquire. Non vi è solo un richiamo all’ordine, vi è la richiesta/auspicio che medici e infermieri non siano presenti in quei mezzi di soccorso: possono creare difficoltà organizzative e operative.
Areu tradisce il proprio mandato di pubblica amministrazione posta a tutela della salute della popolazione: come pubblica amministrazione non informa il proprio agire al criterio fondamentale del “buon andamento” e dell’efficienza della PA stessa allontanando professionisti abilitati in nome della propria “organizzazione” e dei propri “protocolli” privilegiando volontari a più bassa qualificazione eterodiretti dalle centrali. Fa del male a se stessa nel momento in cui la presenza di “qualificati” potrebbe risolvere eventuali sottovalutazioni dei codici di priorità (sempre possibili nel sistema di emergenza extra-ospedaliera) e fa del male alla popolazione allontanando chi, gratuitamente, presta la propria attività come volontario mettendo a disposizione un patrimonio importante di competenze.
Eppure per costante e antica giurisprudenza quando sono in ballo la vita e l’integrità fisica delle persone non contano neanche le gerarchie professionali (si pensi al dibattito di un tempo della sottomissione dell’assistente ospedaliero al primario): conta l’essere professionista sanitario. Non si chiede una violazione costante dei protocolli – ci mancherebbe altro! – ma nemmeno una loro acritica e burocratica applicazione come vorrebbe Areu.
La medicina difensiva – questa ne è l’ennesima dimostrazione – è totalmente incistata nelle organizzazioni sanitarie.
Il sindacalista Vergallo non se ne preoccupa e parla di “regole”. Tutti i sindacati medici – non l’Aaroi evidentemente – si dichiarano contrari alla medicina difensiva. Aaroi dovrebbe avere a cuore la valorizzazione della figura e delle competenze della complessa e delicata attività dell’anestesista-rianimatore, a maggior ragione quando presta meritoriamente la sua attività volontariamente. Preferisce invece un medico specialista non pensante, equiparato e addirittura “formato” alle pratiche dell’emergenza da volontari non sanitari e che non si distingua da qualunque volontario/soccorritore.
Non ci sono solo i richiami ai dettami giuridici ma anche ai disposti deontologici che Vergallo trascura.
Quello che preoccupa, però, non è la presa di posizione di una sigla sindacale medica: preoccupa una pubblica amministrazione, come Areu, che nel dibattito in corso non ritiene di prendere posizione e di spiegare il suo operato pubblicamente. Un’autoreferenzialità di altri tempi che pensavamo non potesse più esistere nel pur variegato campo delle pubbliche amministrazioni italiane.
Luca Benci (Giurista-Firenze)