4 giugno -
Gentile Direttore,
“Le parole sono pietre” è il titolo che Carlo Levi scelse per il suo racconto di viaggi in Sicilia nei primi anni Cinquanta; dentro questa espressione si può cogliere un profondo significato se si intende che le parole hanno un loro peso, una loro forza intrinseca. Se si pensa ad esempio alla nostra Costituzione, per nessuno degli altri diritti viene usato l’aggettivo “fondamentale”, tranne che per definire, all’articolo 32, il diritto alla salute. Ed è inoltre decisivo che lo stesso diritto alla salute non venga legato alla cittadinanza ma si consideri come diritto dell’individuo, e quindi della persona umana, come pure interesse di tutta la collettività. E’ su queste fondamenta che sono stati edificati i pilastri del nostro Sistema Sanitario.
Tutto questo ci da conferma che l’utilizzo di determinate parole è profondamente legato ai valori e alle finalità che caratterizzano un Sistema Sanitario. Se cambia la società, la politica sociale e la politica sanitaria (sostanziale prima ancora che formale), cambia anche il linguaggio della sanità. Il tipo di linguaggio che si adotta è dunque correlato agli obiettivi del Sistema Sanitario ed è anche strumento potente per perseguirli.
Dalle parole discende anche il potere di cambiare la realtà che ci circonda, di mutare un orizzonte di senso. E’ ormai assodato come l’introduzione della termine azienda, ed il relativo processo di aziendalizzazione, abbia inciso non solo sulle strutture organizzative, ma anche sul pensiero e sull’agito dei professionisti della sanità.
Questo esempio ci fa riflettere su quanto straordinario sia il potere delle parole e quanto il potere abbia un grande interesse a servirsene. E nel mondo della sanità, che ruota attorno ad un bene primario come la salute, convivono e interagiscono una molteplicità di poteri, da quelli strettamente professionali a quelli politici e sociali.
Si comprende facilmente, quindi, come sulle parole e sulla scelta di queste si inneschino anche stridenti contrasti. Le parole possono unire come invece possono essere motivo di divisione se non di conflitto.
Proprio in questi giorni, ad esempio, si registra un acceso dibattito intorno alle parole scelte nell’ambito del nuovo Codice deontologico dei medici. Una delle questioni che fa più discutere è quella che ruota attorno alla definizione del malato come “paziente, persona o persona assistita”.
Afferma giustamente Ivan Cavicchi che il problema di come definire il malato, non è banalmente nominalistico, ma chiama in causa i rapporti complessi tra semantica, deontologia e realtà. E ci pone la domanda “i significati che il codice attribuisce al malato, nelle sue varie denominazioni, sono pertinenti nei confronti del malato reale?”.
La questione che si pone è corretta; le parole, per non risuonare vuote, non solo dovrebbero essere correlate ad un pensiero, ad un’idea, ma anche avere una corrispondenza con la realtà, cioè con comportamenti coerenti e obiettivi concreti da realizzare. Come afferma il filosofo austriaco Johann Wittgenstein “le parole sono azioni”: se la parola è, come si diceva all’inizio, una pietra, se ha un suo valore (nel significato intrinseco che deriva da “valere”, nel senso di “avere pregio” o anche “essere forte), acquista tutto il suo peso, tutta la sua efficacia e prende vitalità nella traduzione operativa. Come accade quando si scaglia una pietra, la parola colpisce e può lasciare il segno, nelle menti degli individui e nell’agire collettivo delle organizzazioni, anche quelle sanitarie.
Di recente, in una intervista rilasciata in occasione del conferimento della laurea ad honorem in Filologia Classica da parte dell’Università di Bologna, il prof. Massimo Cacciari affermava che in questo ultimo periodo stiamo assistendo ad un sistematico massacro del linguaggio e che si è perduto il significato delle parole. “Non solo in politica, il linguaggio è sottoposto ad una costante usura – afferma Cacciari -. Pensiamo all’interno di una dimensione linguistica e perdere il senso ed il rigore della parola significa o pensare male o non sapere più esprimere le nostre idee. Dietro c’è l’impoverimento del pensiero”.
Crediamo che occorra reagire a tutti i livelli a tale impoverimento, e soprattutto nell’ambito della Sanità, le parole che possiedono un profondo valore e che portano in sé un pensiero forte, possono rappresentare, in momenti di grande incertezza come quelli che stiamo vivendo, le fondamenta su cui costruire un futuro che in molti faticano a intravedere. “Words are all we have”, le parole sono tutto quello che abbiamo, diceva lo scrittore e poeta statunitense Raymond Carver, che aggiungeva “perciò è meglio che siano quelle giuste”.
In un’epoca in cui le parole sembrano essere “smarrite”, svuotate del loro significato, e in particolare quelle che riguardano la sanità sono scomparse da ogni “agenda”, ci si ritroverà il 9 giugno a Bologna, nell’ambito di una iniziativa promossa dall’Associazione dei Medici delle Direzioni Ospedaliere (ANMDO), insieme a professionisti e cittadini a discutere sulle “Parole della Sanità” (
vedi il programma); su quali possano essere le parole giuste per un Sistema Sanitario che deve affrontare le difficoltà del presente e che possano indirizzarne lo sviluppo nei prossimi anni.
Abbiamo chiamato ad aiutarci in questo primo passo, di quello che vuole essere un percorso di ricerca e costruzione di senso, alcune figure di rilievo della sanità italiana, come Silvio Garattini che parlerà di “evidenza”, Gavino Maciocco, che aprirà il nostro sguardo sulla “globalità” e Annalisa Silvestro, con cui vorremmo riflettere sulla “molteplicità”.
Parole diverse, parole nuove ma anche antiche. Nel Gargantua di Rabelais le parole si erano congelate per il freddo, ma appena tornato il sereno e il tepore del tempo buono, si scioglievano e venivano all’orecchio. E quando l’uomo afferrava un pezzo di ghiaccio, subito per il calore le parole si liberavano. Ma gli uomini, quelle parole antiche, non le intendevano, perché erano in “lingua barbarica”.
Il significato delle parole può cambiare infatti nel tempo, in relazione ai contesti in cui queste trovano espressione e in base alle sollecitazioni che le circostanze pongono. Parole anche per noi quindi da recuperare, da ritrovare e ricordare, da rivisitare e reinterpretare e a cui attribuire nuovo significato in un contesto mutato, da cui trarre e a cui dare nuova energia. Ci auguriamo che nell’ambito dell’incontro del prossimo 9 giugno, pensato come una sorta di jam session lessicale del settore sanitario, le parole che sentiremo ci raccontino del passato, ci aiutino a comprendere il presente e contribuiscano a dare forza per immaginare il percorso futuro del nostro Sistema Sanitario.
Ottavio Nicastro
Segretario Scientifico ANMDO Regione Emilia-Romagna