Lettere al Direttore
La salute mentale e il coraggio di una profonda autocritica per uscire dallo stato di emergenza
di Ivan CavicchiGentile direttore,
ho letto con attenzione la “Dichiarazione conclusiva” della seconda Conferenza nazionale autogestita per la Salute Mentale “ riprendiamoci i Diritti: decisa una nuova stagione di mobilitazione e di proposte”.
Nei suoi confronti, ammettendo in premessa, che esiste innegabilmente una crisi di questo settore, dichiaro pubblicamente il mio dissenso politico e intellettuale per tre ragioni:
Penso che questo modo di vedere sia semplicemente superficiale e miope e penso, che se miopi, in particolare di questi tempi, si possa solo andare a sbattere contro un muro.
Deja vu
Penso anche che, mentre la salute mentale va sempre più a fondo, come una barca in avaria, questa seconda conferenza , sia un patologico dejà-vu cioè l’esatta riproposizione della conferenza che l’ha preceduta nel 2019 (Salute mentale diritti libertà e servizi), ma anche la copia di quella proposta da psichiatria democratica con un manifesto nel 2022 (La cura nella Salute Mentale come valorizzazione della persona e difesa della democrazia) identica a quella proposta nel 2023 dal PD (Benessere e salute mentale).
Sul dejà vu disponiamo di una discreta letteratura. Ricordo Benjamin, Bodei, Alan S. Brown e lo stesso Freud. Tutti gli psichiatri ci dicono che il deja vu assomiglia molto al delirio di un malato schizofrenico che cerca compulsivamente nel passato la risposta ai suoi problemi del presente.
Prigionieri del passato
Se è così per la salute mentale si pone il problema serio del suo “delirio” . Non è possibile che come salute mentale si cada a pezzi e, nonostante ciò, si continui ad andar avanti sempre con lo stesso mantra cioè con lo stesso ragionamento da oltre 40 anni.
Come curare il deja vu
Per curare il delirio bisognerebbe curare i derilanti e sapere prima di tutto di cosa essi offrono. Il delirio ,sono sempre gli psichiatri che ce lo dicono, spesso è solo una manifestazione della malattia. La malattia del deja vu secondo me che faccio il mio mestiere è l’inettitudine della salute mentale come comunità ad interagire con il mondo che cambia e che io chiamo semplicemente “invarianza”. In un mondo transiens l’invarianza vale come la ripetizione ossessiva di una pratica masturbatoria.
Curare l’invarianza
Dicevo che io non sono psichiatra e nemmeno psicologo, ma l’invarianza, la conosco bene avendola studiata per anni nella sanità ma anche nella salute mentale. Ma curare l’invarianza della salute mentale che è un problema sovrastrutturale complesso non è una impresa facile. In questa area gli “invarianti” sono prima di tutto coloro cioè persone in carne ed ossa, che convenzionalmente rappresentano la storica leadership che la salute mentale sovraintende e che proprio per questo non solo organizza tutti i deja vu ma anche i suoi programmi. Come faccio a curare per esempio i tanti “presidenti” che decidono il dejia vu? Per esempio quello di psichiatria democratica, della società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica, della Società Psicoanalitica Italiana, ecc. Per non parlare della politica e dei suoi responsabili.
Out of service
Forse valutando le enormi difficoltà terapeutiche della cura sarebbe più pratico considerare costoro semplicemente come degli ascensori guasti cioè che non vanno ne giù e ne su, e semplicemente dichiararli convenzionalmente “out of service”.
Quindi decidere una sorta di commissariamento politico dei principali “invarianti” e, come ai tempi della rivoluzione francese, istituire un “comitato di salute pubblica” e decidere di voltare pagina. Cioè cambiare semplicemente strategia. Dal deja vu alla riforma
Ma io per primo mi rendo conto che mandare a casa gli invarianticioè i “pasdaran”della salute mentale (“guardiani della rivoluzione basagliana”)non è proprio una cosa facile.
Definizione del servizio pubblico
Non intendo chiosare la dichiarazione conclusiva della conferenza perché essa secondo me non è niente altro che fuffa.
Mi permetto tuttavia per non sottrarmi al dovere di un contributo di analisi di invitarvi alla lettura di un mio breve saggio scritto per il centenario di Basaglia appena pubblicato sulla rivista BioLaw Journal ( https://teseo.unitn.it/biolaw/issue/)
Dopo di che per spiegare il mio dissenso e per non essere considerato il solito “guasta feste” prima di tutto vorrei partire dalla definizione di servizio pubblico perchè per me la questione che la conferenza, ha eluso è proprio la crisi in cui versa la salute mentale come servizio pubblico.
Le mie tesi
Gli elementi essenziali del servizio pubblico sono due.
A partire da questa definizione le mie tesi sono le seguenti:
Problemi di paradigma
Il paradigma a cui mi riferisco è quello basagliano registrato dalla legge 833 ((articoli 33, 34, 35 e 64) Per me la crisi della salute mentale non deriva solo da problemi situazionali e meno che mai solo da problemi contingenti ma emerge con chiarezza se confrontiamo questo paradigma con il cambiamento culturale sociale ed economico ma anche epidemiologico del paese
Da questo confronto viene fuori chiaramente che la crisi in cui versa il servizio di salute mentale è risolvibile come tutte le crisi sovrastrutturali ma solo a condizione di avere un pensiero di riforma che a partire dalla 180 continui il suo viaggio riformatore verso un futuro non più contingente come dice Occam ma diverso da quello che si intravede nei dejà vu. Cioè un futuro futuro.
Oltre il solito decalogo
E’ ovvio che se prevale il deja vu è difficile che si affermi una strategia riformatrice. Infatti nelle sue dichiarazioni conclusive la conferenza elenca il solito decalogo delle rivendicazioni che non ha nulla di diverso dalle rivendicazioni dei decaloghi precedenti e che secondo me in ragione delle tesi contrarie che ho appena esposto anche ammettendo il suo integrale accoglimento non muterebbe in niente ne la crisi del servizio meno che mai rimuoverebbero le principali contraddizioni di cui il servizio è prigioniero e ancora meno risolverebbero gli enormi problemi di regressività di cui il servizio è vittima .Molti credono che i problemi della salute mentale si risolvano solo con un po di soldi in più ma a contraddizioni invaianti Ma questo è un tragico errore di valutazione della realtà.
Invarianza e spaesamento
Oggi anche la seconda conferenza sulla salute mentale ci rifila il solito paradosso delle precedenti conferenze : se il problema principale del servizio di salute mentale è, lo “spaesamento” come direbbe Heidegger, si tratta dice la conferenza di “abitare lo spaesamento” e di rinunciare ad avere una contro-prospettiva meno che mai ad avere un qualche pensiero di riforma. Cioè siamo spaesati ma malgrado tutto si resta tutti nel deja vu.
Questo per il servizio di salute mentale o per coloro che presumono di rappresentarlo significa non tanto una questione di ineludibilità ma più semplicemente:
Cioè dopo la 180il futuro per la salute mentale non esiste. Quindi viva il deja vu. Viva la 180 il solo futuro possibile. Masiccome come dicono gli psichiatri il deja vuè un sintomo della schizofrenia secondo la regola transitiva viva anchela schizofrenia anche se essa ci porterà tutti nel fosso.
Riprendiamoci i diritti
L’ultima considerazione che desidero fare riguarda il titolo della seconda conferenza nazionale sulla salute mentale: “riprendiamoci i diritti” ”.
La domanda che voglio fare parte da una constatazione ovvia: se ci dobbiamo riprendere i dirittiallora vuol dire chequalcuno i diritti ce li ha rubati ma se questo è vero si tratta di capirechi ce li ha rubati?
I diritti che ci hanno rubato, ai quali implicitamente si riferisce la dichiarazione della conferenza sono stati rubati negli anni 90 in occasione del governo dell’Ulivo il cui presidente era Prodi e il ministro della sanità era Rosy Bindi. Un governo ladro ma di centro sinistra
Un prezzo molto salato
Questo furto dei diritti, in particolare l’art 32, la salute mentale più di qualsiasi altro settore sanitario l’ ha pagato davvero a caro prezzo:
Non saranno i ladri di diritti che ci faranno ritrovare i diritti perduti
Ma se tutto questo è vero e vi assicuro che è vero, qualcuno dei pasdarn della salute mentale mi spieghi per favore perché al fine di riprenderci i diritti rubati sono stati invitati alla seconda conferenza sulla salute mentale come relatori di punta i principali ladri di diritti vale a dire Rosi Bindi e Nerina Dirindin ,cioè i fautori di spicco del neoliberismo in sanità.
Ricordo che la Dirindin a proposito di deja vuè anchecoleiche ha presentato una proposta di legge su mandato della salute mentale per tutelare proprio ildeja vu e che io ho chiamato 180 bis. Un verobuco nell’acqua di cui quanto meno bisognerebbe vergognarsi.
Escludere l’assurdo
Oggi è assurdo chiedere al governo che non ha rubato i diritti e che oggi è di destra di restituirci i diritti rubati dalla sinistra. Per cui oggi siamo costrettiprima di parlare con il governo difare i conti con la sinistra e accordarci con essa per modificarne le strategie. Levatevi dalla testa la possibilità di salvare la salute mentale senza superate le controriforme fatte dall’Ulivo anche contro la salute mentale.
Definire una proposta autonoma
Ciò detto l’unica strada possibileche vedo praticabile ma difficile da percorrere è la definizione di una proposta di riforma della salute mentale ma del tutto autonoma che dica con chiarezza sia alla destra che alla sinistra e a tutta la società come si può uscire dal deja vu
Nel documento conclusivo ovviamente questa eventualità non è prevista perchè in esso il deja vu è confermato. Se invece davvero volessimo salvare la salute mentale:
Conclusioni
Io temo che oggi la salute mentale per uscire dalla crisi debba “tirare fuori” il coraggio che non ha per non usare la nota metonimia maschilista. Ilcoraggio di dire prima di tutto a se stessala verità, il coraggio di fare una profonda autocritica e quindi il coraggio di dichiarare insieme ai cittadini e alle nostre comunità lo stato di emergenza del settore e insieme a loro indicare una nuova strategia da seguire cioè una exit strategy.
Ma i pasdaran della salute mentale, i guardiani non della rivoluzione ma dell’invarianza cioè gli organizzatori dei deja vu lo permetteranno?
Se tutti fossero grandi uomini come Basaglia, la risposta sarebbe sì. Il problema è che Basaglia è morto e costoro non sono grandi uomini e non hanno quello che per Basaglia ho chiamato il suo “coraggio riformatore” ma come dimostra proprio il deja vu essi sono solo dei burocrati ossessivi e nulla più.
Ivan Cavicchi