19 dicembre -
Gentile Direttore,nel mondo variegato della psicoterapia il cosiddetto ‘approccio affermativo’ ha creato confusione e fraintendimento nella cura dei minori sofferenti di disforia di genere. Questa sofferenza è oggetto di difficile inquadramento diagnostico perché spesso l’incongruenza di genere che ne è alla base può convivere con altre situazioni di sofferenza (anoressia, autismo, depressione, psicosi, disturbi del neurosviluppo) o perfino mascherarle.
La cura che non tiene conto di questa difficoltà diagnostica, privilegia la prospettiva dell’incongruenza e stabilisce come suo obiettivo l’affermazione del genere incongruo, è a rischio di seria negligenza nei confronti di patologie che restano senza trattamento terapeutico.
Inoltre, le ricerche scientifiche hanno confermato la risoluzione spontanea nella grande parte di casi dell’incongruenza di genere nei minori. Con l’avanzamento dell’adolescenza la percentuale dei soggetti che restano incongrui si riduce al circa 20%. L’idea che un soggetto possa essere definito incongruo fin dai primi anni di vita, sulla sola base della sua auto-percezione del momento, è priva di fondamento scientifico. Tenendo conto del fatto che la differenziazione tra il soggetto che resterà incongruo e il soggetto che non resterà, è in partenza estremamente difficile (se non impossibile) e richiede lungo tempo di attento e competente ascolto psicologico, inserire sbrigativamente dei minori (di cui quattro su cinque non son destinati all’incongruenza) in un percorso affermativo (bloccanti della pubertà - ormoni cross-sex – interventi chirurgici) è irresponsabile.
Il recente
documento prodotto dal Comitato Nazionale di Bioetica sulle modalità e sui percorsi necessari per arrivare alla prescrizione della triptorelina nei casi di disforia di genere prevede un’impostazione rigorosamente sperimentale e sottolinea la centralità della psicoterapia come strumento sia di terapia del dolore sia di esplorazione del proprio sviluppo psicosessuale che consente di meglio elaborare le proprie dinamiche identitarie.
È tempo che gli psicoterapeuti italiani assumano le proprie responsabilità di sostegno e di cura nei confronti di bambine, bambini, ragazze, ragazze e di famiglie disorientate e abbandonate a se stesse. Il diritto di definire la propria identità sessuale e di genere in modo personale è gravemente danneggiato nei minori se viene dissociato dalla possibilità di una loro libera elaborazione che non si conclude in modo definitivo prima dell’adolescenza. Se viene sovradeterminato da assunti ideologici che cercano di affermarsi in nome di una difesa dei diritti che in realtà tradiscono.
Sarantis ThanopulosPresidente della Società Psicoanalitica Italiana Antonio Lo IaconoPresidente della Società Italiana di Psicologia SIPsFulvia SignaniPsicologa, psicoterapeuta, esperta di Medicina di Genere, Docente di “Sociologia di Genere” Università di Ferrara