18 dicembre -
Gentile Direttore,in ambito giuridico gli esperti distinguono tra costituzione formale e costituzione materiale per rimarcare il fatto che in certi frangenti non è facile attenersi scrupolosamente alle norme e sono ammissibili interpretazioni e pratiche ad hoc, a una condizione: “La Costituzione materiale ha valore quando tutti gli attori politici concordano sull’interpretazione e ne accettano la prassi [..]. In caso di disaccordi, non può esserci alcun dubbio. La Costituzione formale prevale sempre, senza eccezione alcuna sulla Costituzione materiale” (Pasquino).
Da più parti si paventa il rischio di un cambiamento radicale del nostro modello di tutela della salute verso la privatizzazione; per prevenire questa deriva “materiale” viene spesso evocato come ideale baluardo il richiamo ai principi “formali” enunciati nell'articolo 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Il cambiamento del nostro modello di SSN è un dato di fatto, per via del gap tra domanda ed offerta, come testimonia la proliferazione di strutture polispecialistiche che offrono in tempi rapidi, in regime libero-professionale o con copertura assicurativa, le prestazioni che il SSN non è in grado di erogare in tempi ragionevoli per la dilatazione dei tempi d’attesa e per un deficit generalizzato di professionisti in ospedale e sul territorio che lascia senza assistenza primaria milioni di cittadini.
Si tratta di una deriva che nessuno ha deliberato o programmato scientemente ma che si sta affermando per la forza del dato di fatto “materiale”, verificabile quotidianamente quando si ha bisogno di una prestazione: basta recarsi in uno dei tanti centri privati e mettere mano al portafoglio, se si ha la fortuna di avere un medico prescrittore. Stupisce che ancora non si sia preso atto dalla trasformazione silenziosa che nel post Covid-19 ha fatto un salto di qualità difficilmente compensabile nel breve e forse anche nel medio periodo. Il mismatch cognitivo tra costituzione formale e fattuale sconfina nell’auto-inganno e non viene compensato evocando retoricamente i principi fondanti, disattesi dalla dura realtà.
Ebbene, come ha sottolineato il presidente di GIMBE, di questo lento scivolamento verso il mercato fanno le spese – in senso proprio e metaforico - principalmente gli indigenti ai quali dovrebbero essere costituzionalmente garantite cure gratuite, mentre non coinvolge i solventi e coloro che si possono permettere un'assicurazione integrativa.
Ma vi è anche un paradosso nel paradosso, se si interpreta il “non detto” del dettato costituzionale: infatti dato che la Repubblica garantisce cure gratuite ai meno abbienti implicitamente esclude dalla stessa tutela i non indigenti, che dovrebbero quindi provvedere di persona all’acquisto delle prestazioni, per quanto la salute sia "un fondamentale diritto dell'individuo" tutelato dalla Repubblica. Dunque la seconda parte dell'art. 32 è in linea con l'attuale ricorso al cosiddetto out of pocket, come si dice pudicamente, per avere accesso ad accertamenti, visite ed alcune prestazioni chirurgiche.
Di fatto la deriva “materiale” in atto verso il trionfo del mercato promette di consolidarsi nei prossimi anni – visto il divario del fondo sanitario nazionale rispetto al rifinanziamento minimo necessario ad evitare il collasso del sistema – ed è per giunta in linea con il dettato costituzionale “formale” sulla gratuità per i soli indigenti.
Vi è infine un terzo livello dissonante: il servizio che attualmente sul territorio assicura gratis cure di prossimità e continuità alle fasce più deboli della popolazione è l'assistenza primaria, sulla quale pendono da anni giudizi impietosi e squalificanti, per inefficienza, inefficacia, scarsa professionalità, responsabilità per gli esiti della pandemia, l’affollamento dei PS, l’eccesso di prescrizioni inappropriate e il prevedibile flop delle case di comunità (nella lista manca solo il riscaldamento climatico). D’altra parte, non c’è niente di più facile che prendere di mira la proverbiale CR, ovvero i peones che in quanto “generici” non-specialisti scontano uno storico deficit di immagine pubblica, status e riconoscimento sociale, come lascito dell’epoca mutualistica descritto in modo pittoresco da JT Hart all’inizio degli anni Ottanta.
All'apice della piramide ci sono tutte le cose migliori della medicina: il prestigio, la consapevolezza di essere un bravissimo medico e di incontrare malattie interessanti e fuori dal comune e, forse più interessanti dei malati stessi, poiché si esercita il potere sui medici più giovani e sulle infermiere che fanno il lavoro più faticoso. Alla base della piramide, invece, ci sono gli angeli caduti ossia i medici generici immersi nei disturbi cronici del volgo che non hanno nessuno a cui dare ordini, salvo forse i pazienti, ma se lo fanno gli ingrati pazienti se ne vanno da un altro medico che sta alla base della piramide.
L’effetto perverso di queste dinamiche accentua la crisi vocazionale e disincentiva l’accesso al corso di formazione per coprire i buchi di organico conseguenti all’ondata di pensionamenti del prossimo triennio. Non è difficile immaginare chi nei prossimi anni pagherà il fio delle carenze destinate a lasciare privi di assistenza primaria milioni di cittadini, abbandonati a se stessi senza un medico di riferimento, in particolare coloro che la costituzione formale dovrebbe tutelare prioritariamente.
Giuseppe BelleriEx MMG - Brescia