Lettere al Direttore
La Sociologia come risorsa per il Ssn
di Rocco Di SantoGentile direttore,
il sociologo è la figura professionale in grado di dare risposte a domande che provengono dalla società, per interpretare le trasformazioni in atto e soprattutto per prevedere scenari futuri in base all’osservazione diretta di quanto espresso dalla società odierna. Una figura sempre più rilevante in uno scenario come quello attuale caratterizzato da trasformazioni continue e da crescente frammentazione organizzativa e sociale. Tuttavia, allo stato attuale, l’ordinamento normativo non consente alla Sociologia di poter essere una risorsa a pieno titolo spendibile per il benessere collettivo poiché manca uno strumento fondamentale: l’albo professionale.
Si tratta di una assenza significativa poiché già nella Legge 833/1978 era ribadita la necessità di leggere le complessità dei territori di vita delle persone e delle competenze necessarie per analizzarle e predisporre servizi coerenti con tali caratteristiche. L’iter tormentato del processo di istituzionalizzazione della professione sociologica corre parallelamente alle fasi di sviluppo del sistema sanitario pubblico.
Proprio l’introduzione di un “nuovo” SSN coincide (e non a caso) con la domanda di sapere sociologico nei servizi psichiatrici, per le dipendenze patologiche, nei consultori familiari o nell’esperienza sperimentale di integrazione ospedale-territorio.
Tra il finire degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, avviene l’incontro tra due bisogni: l’istituzione di un sistema sanitario (adeguato per un Paese in continua espansione socio-economico) e la professionalizzazione del sociologo attento ai temi della salute (che introduce gradualmente la Sociologia della Salute in Italia).
Come sosteneva Pierpaolo Donati, in occasione del primo convegno di “Sociologia sanitaria” del 1982 a Bologna: "La nuova sociologia della salute ha, dunque, come punto di partenza la negazione o almeno la rottura dell’equazione data per scontata salute = medicina. Se si vogliono ottenere nuovi livelli quali-quantitativi di salute per la popolazione, (…) di benessere psico-fisico-sociale, occorre: in primo luogo rivedere il modo in cui è socialmente praticata la medicina (istituzionale e non), identificare e attivare quei luoghi, soggetti e relazioni sociali che stanno fuori del complesso istituzionale sanitario e che nondimeno svolgono un ruolo essenziale se non determinante, almeno in taluni casi e condizioni, agli effetti della salute".
Con l’introduzione del SSN, si apre per i sociologi un nuovo orizzonte di opportunità. Il D.P.R. 761 del 1979 relativo allo stato giuridico del personale del SSN che include anche il sociologo oltre alle figure medico-sanitarie e amministrative, sembra rappresentare la concretizzazione di nuove possibilità. Ma, l’inclusione del sociologo nel “ruolo tecnico” del SSN costituisce un certamente un riconoscimento ma al tempo stesso assume una valenza parziale poiché relega le competenze e le conoscenze del sapere sociologico a mera funzione ausiliaria. Il mancato riconoscimento del carattere globale e intersettoriale dell’operatività del sociologo che il suo inserimento nei ruoli tecnici comporta significativamente le possibilità di una sua autonomia professionale quale premessa per un processo di reale professionalizzazione, trasformandolo in una sorta di “tecnologo sociale”, una posizione sostanzialmente subordinata al contesto organizzativo in cui opera, di “supporto tecnico” alle professioni mediche e amministrative. La potenziale funzione di mediazione sistemica che il sociologo potrebbe svolgere sia all’interno dell’organizzazione tra le dinamiche conflittuali tra i diversi attori presenti, che all’esterno di essa nei confronti dell’ambiente e della complessità crescente dei bisogni di salute della popolazione, ne risulta così inevitabilmente compromessa.
Una seconda stagione si apre con la crisi della prima riforma del SSN e l’introduzione di un processo riformatore in grado di razionalizzare la gestione dello stesso SSN. Una razionalizzazione gestionale che ha portato all’aziendalizzazione dei modelli organizzativi e dei processi di cura, assistenza e prevenzione.
Ad inizio anni ’90, nel momento in cui il sociologo ha la possibilità di affermare le sue peculiarità metodologiche, si ritrova a confrontarsi nel sistema di professioni che caratterizza il SSN con gruppi professionali (medici, psicologi, dirigenti amministrativi) il cui ruolo e status sono assai meglio definiti e sovraordinati rispetto ai propri. Ed è in questi anni che si avvia l’iter legislativo per l’istituzione di Ordine dei Sociologi e di un Albo Professionale. Un inter che non giunge mai a conclusione per via di Legislature interrotte anticipatamente rispetto ai tempi previsti. Nella XI e nella XIII legislatura, vi sono stati diversi disegni di legge, firmati in modo trasversale dalle forze politiche di allora: di maggioranza e di opposizione. La richiesta comune era quella di ordinare una professione in grado di leggere, interpretare e spendere il proprio sapere dinanzi alle sfide poste dalla modernizzazione: salute, immigrazione, nuovi media e sistemi di comunicazione, politiche previdenziali e del lavoro. Con la caduta anticipata dei Governi Amato e Prodi tali proposte di legge vennero a decadere.
Con gli anni 2000 si apre una terza fase, caratterizzata da una ripresa della riflessione sull’affermazione generale del ruolo del sociologo campo della salute e nello specifico nel SSN. Un contributo è stato dato dal processo di certificazione del Sociologo in virtù dell’acquisizione da parte del legislatore (D.Lgs 206/2007) della Direttiva europea che riconosce le qualifiche professionali. Questa a sua volta ha portato a compimento il riconoscimento della professione (L.4/2013) tra le figure non dotati di ordini professionali. In tal caso, si è potuto attivare un percorso di certificazione, sia pure su base volontaria, di riconoscimento del Sociologo della salute. L’impegno però non ha comportato l’effetto desiderato. È venuto a mancare la capacità di interloquire da un punto di vista istituzionale perché privi di una organizzazione unitaria con la facoltà di rappresentare la categoria dei sociologi (siano essi accademici o professionali).
Giungendo fino ai giorni nostri, la mancanza di un organo referente in grado di interloquire con le istituzioni è dimostrato dall’assenza del ruolo del Sociologo (poiché non citato) nel D.M. 77/2022 “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale” nella sua ultima stesura del 16 marzo 2022.
Un’assenza che così facendo crea un vuoto nei processi di analisi, valutazione, pianificazione e rapporti con il territorio. Ma soprattutto avviene in modo controcorrente rispetto a quanto è avvenuto con il Decreto sostegni bis (comma 9/ter dell’art. 34, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 5 della legge 11 gennaio 2018, n. 3) che ha istituito il sociologo nel ruolo sociosanitario nello stato giuridico del personale del Sistema Sanitario Nazionale, al pari degli assistenti sociali e degli operatori socio-sanitari.
Il riconoscimento istituzionale nel ruolo sociosanitario ha di fatto affrancato il preesistente inquadramento nel ruolo tecnico. Un momento che è stato visto da molti come emancipazione e riconoscimento delle specifiche funzioni e competenze.
Dunque, se il perno del sistema previsto dal decreto ministeriale 77/2022 è il Distretto, al cui interno un ruolo fondamentale è rivestito dalla Casa della Comunità quale punto di accesso primario per i cittadini al SSN, strutturata secondo un modello organizzativo di approccio integrato e multidisciplinare attraverso un’équipe multiprofessionale territoriale, è paradossale non prevedere il ruolo del sociologo così come invece lo sono figure altre figure: Psicologi, Ostetrici, Professionisti dell’area della Prevenzione, della Riabilitazione e Tecnica, e Assistenti Sociali. Se queste figure appena citate negli ultimi anni sono state ordinate, appare doveroso riprendere quel processo interrotto negli anni ’90 finalizzato all’istituzione di un Ordine professionale proprio dei Sociologi e un apposito Albo regolamentato. Le figure già ordinate operano in modo sinergico con i sociologi presenti nei vari servizi del SSN.
Dal luglio 2023 ad oggi si contano tre proposte di legge da parte di Onorevoli di forze politiche differenti tra loro, sostenuto dalle maggiori sigle associative italiane che racchiudono sia gli accademici sia i professionali. Dunque, negli ultimi anni si assiste ad un forte interessamento del Legislatore nel riconoscere il ruolo del sociologo in un momento storico caratterizzato da un repentino mutamento sociale e dalla necessità di ri-organizzare sistemi, organizzazione e processi come nel campo della salute.
Ci auguriamo che questo slancio possa condurre, finalmente, al riconoscimento del ruolo professionale del sociologo e, finalmente, all’applicazione piena di quella visione sistemica che animava la Legge 833/78, che ancora costituisce una pietra miliare del SSN, e che ritroviamo nelle successive riforme e varie leggi del nostro quadro normativo.
Prof. Rocco Di Santo
Presidente di Presìdi Educativi Impresa Sociale SRL